Lutero e Cartesio
I motivi di un’alleanza
Terza Parte (3/3)
Dio in me
La modernità ci propone un approfondimento di come ognuno di noi si rapporta con Dio nella sua coscienza. Chi è Dio per me? Come so che esiste in me? Come mi appare? Come Lo vedo? Come mi comporto con Lui? Sono in pace con Lui? Che cosa ha fatto per me? Sono sincero con Lui? Ho peccato o sono in grazia?
Ma il dramma, del quale ancora Lutero e Cartesio allora non erano consapevoli, dramma gravido di conseguenze nefaste, è stato che questa presa di coscienza, quest’operazione di scavo in se stessi, di guardarsi dentro, questo interrogarsi sul valore della propria esistenza, del proprio agire e pensare si sono attuati in una forma non sempre umile e sincera, ma anche un una forma chiusa, autoreferenziale, soggettivistica e autarchica, alla fine asfissiante, tale per cui l’immanenza di Dio nell’io, separandosi dalla precedente impostazione cristiana realista e creazionista, nei secoli successivi fino ad oggi, si è mutata, per logica conseguenza, nell’io che ha preso il posto di Dio, sicchè il Tu divino è scomparso ed è rimasto solo l’io, la cosiddetta «soggettività» o «io trascendentale» degli idealisti, che vorrebbe avocare a sé l’immane compito di fondare l’essere col suo pensare, col risultato tragico che tutti conosciamo, ma che non tutti riconosciamo perché ad alcuni va bene così, mentre vedono gli effetti nefasti, ma non sanno risalire alle cause.
Continua a leggere:
https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/lutero-e-cartesio-i-motivi-di_3.html
Si trattò allora di modificare l’atto stesso di fede, così da mutarlo da conoscenza mediata dalla ragione, come abbiamo nella concezione cattolica, in esperienza immediata del dato rivelato.
In altre parole, la stessa Parola di Dio viene concepita come razionale, sicchè non si trattava più del mistero sovrarazionale in armonia con la nostra ragione, rivelato da Dio per mezzo della Scrittura e della Tradizione ed interpretato dal Magistero della Chiesa, ma di identificare lo stesso atto di fede con un atto della nostra ragione, che accoglie la verità divina, che a sua volta è razionale. Non occorre più, quindi, per Lutero, la mediazione dell’autorità del Magistero della Chiesa per conoscere la Parola di Dio e credere in essa, perché essa stessa appare e si rivela direttamente nella nostra ragione e nella Sacra Scrittura.
Quando non si sa come armonizzare la ragione con la fede, ma le si vede l’una opposta all’altra, l’unica maniera è quella di confonderle o identificarle tra di loro. Ed è così che dall’irrazionalista fideista Lutero salta fuori il razionalista fideista Cartesio, a sua volta seguìto dal razionalista assoluto e panteista Hegel.
In fondo Lutero e Cartesio non fanno che riprendere l’opposizione dei primi secoli fra Pelagio e Tertulliano: Pelagio, che considera la grazia non come soprannaturale e gratuita, aggiunta alla natura, ma come una conquista e un premio della natura perché per lui la fede è una ragione pienamente sviluppata, un sapere non mediato ma immediato di Dio, e Tertulliano, precursore di Lutero, per il quale Tertulliano, in forza del suo odioso principio credo quia absurdum, la grazia non perfeziona la natura, ma ne suppone la negazione o distruzione. Sarà, questa la «natura totalmente corrotta», della quale parlerà Lutero.
Per Lutero è sufficiente la grazia senza la natura. Per Cartesio è sufficiente la natura senza la grazia. Ma siamo sempre lì. Come i due oppongono fede e ragione, natura e grazia, così le confondono, venendo a dire la stessa cosa: la ragione è la fede e la natura è grazia.
Immagini da Internet: Tertulliano e Pelagio
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.