Fratellanza e ragionevolezza. Il messaggio di Papa Francesco - Prima Parte (1/2)

 

Fratellanza e ragionevolezza

Il messaggio di Papa Francesco

 Prima Parte (1/2)

  

L’uguaglianza umana

Il filosofo Massimo Cacciari ha detto che con la scomparsa di Papa Francesco il mondo ha perduto un maestro di ragionevolezza. La sua frase può lasciare perplessi perchè in realtà Francesco, a differenza di Benedetto XVI, che arrivava a trovare del buono persino nella concezione illuministica della ragione, non ci parlava mai del potere e dell’importanza della ragione, come generalmente evitava il linguaggio filosofico.

E invece io sono proprio d’accordo con Cacciari. Basta riflettere sul significato filosofico del concetto di fratellanza, di origine evangelica. Essa è effetto della ragionevolezza, in quanto è la ragione, facoltà comune ad ogni uomo, quel potere spirituale che consente a tutti di sentirsi ugualmente fratelli. E per questo l’idea di fratellanza è congiunta con quella di uguaglianza.

La fratellanza, infatti, per essere compresa ed apprezzata, va collegata col concetto di uguaglianza, sul quale invece Francesco ha insistito. È vero che la Bibbia non parla di uguaglianza umana, concetto che invece troviamo nella triade massonica. Da qui lo scandalo di alcuni, che hanno avuto l’impressione che il Papa avesse ceduto alla seduzione della massoneria.

In realtà c’è una differenza tra il concetto massonico di fratellanza e quello evangelico proclamato dal Papa: che il primo è un esser fratelli senza fondamento, perché manca Dio Padre, mentre il concetto cristiano è fondato sulla comune paternità divina. Può esistere infatti una fratellanza senza esser figli di un unico padre?

Bisogna dire allora che in realtà l’uguaglianza umana, rettamente intesa, così come l’ha intesa il Papa, benché effettivamente sia stata in qualche modo compresa ed apprezzata dalla massoneria, è logicamente collegata con quella  fratellanza che a sua volta, per essere compresa rettamente alla maniera genuinamente filosofica ed evangelica, dev’essere collegata con la ragionevolezza, che non è il puro e semplice possesso della ragione, che definisce l’uomo in quanto uomo, per cui essa è comune a tutti gli uomini, ma è il retto e sano uso della ragione, che si esprime nelle virtù della prudenza, della giustizia e della misericordia. In realtà una ragione usata male non è sorgente di fratellanza o di uguaglianza, ma di odio e divisione, come dimostra per esempio la ragione dialettica hegeliana.

Diciamo allora che tutti gli uomini sono fratelli perchè tutti posseggono la ragione. L’esser uomo non è qualcosa che in uno sia di più e in un altro sia di meno, ma è la stessa cosa in tutti; ciò in cui tutti sono tutti uguali, sono la stessa cosa: tutti membri della specie umana, che si definisce appunto mediante il possesso della ragione.

La negazione dell’uguaglianza in questo senso è la sorgente di tutte le discriminazioni e le ingiustizie, dei falsi privilegi, della teoria nicciana del superuomo, dell’evoluzionismo darwiniano, di ogni forma di razzismo, di nazionalismo imperialista e di oppressione dell’uomo sull’uomo. Non esclude invece le speciali elezioni divine, come per esempio l’elezione di Israele.

Così il tema bergogliano-evangelico della fratellanza si collega, se vogliamo,  col tema illuminista dell’uguaglianza, ma anche soprattutto col tema dell’universalità della ratio naturalis di San Tommaso, base teoretica delle certezze  fondamentali del sapere e di tutte le scienze e, per conseguenza, di tutte le discipline morali, basi naturali della sapienza e della morale cristiane.

L’uguaglianza umana della quale parlava il Papa, non è da intendersi alla maniera giacobina come riproduzione anonima e monotona in serie, uguaglianza astratta, che astrae dalle differenze, individuo spersonalizzato, ridotto a numero della specie, grigia e noiosa ripetizione del medesimo, apologia della fotocopia, negazione delle diversità, delle ricchezze individuali, delle gerarchie sociali, dei gradi di nobiltà e della creatività personale.

L’uguaglianza della quale parlava il Pontefice era invece quella che è connessa con l’universalità della natura umana, col suo trascendere gli individui. Essa sorge dal fatto che tutti apparteniamo alla stessa specie umana, di pari dignità dal punto di vista della natura specifica, perché tutti possediamo parimenti e identicamente la stessa natura umana di animali ragionevoli, creati da Dio a sua immagine e somiglianza, uomo e donna, destinati da Dio in Cristo a diventare figli di Dio. Il che non esclude affatto l’originalità della persona, la quale, come dice Boezio, non è altro che il sussistere individuale di una natura razionale.

Uguaglianza vuol dire che, se può esistere un’umanità più o meno progredita, il concetto di umanità è univoco, ossia l’esser uomo non va soggetto a gradi analogici di perfezione sì da generare umanità superiori e umanità inferiori. In altre parole, la definizione di uomo è una sola, per cui un soggetto è uomo o non lo è.

Se di fatto nella storia dell’antropologia si sono date più definizioni di che cosa è l’uomo, vuol dire semplicemente che la questione è difficile e complessa. Ma sarebbe un grave errore dar spazio qui al relativismo e allo scetticismo. Assai dannosa è l’idea di Rahner secondo la quale la natura umana sarebbe indefinibile sotto pretesto che la ragione apre all’uomo infinite possibilità. Ma è chiaro che un discorso del genere si presta benissimo a ideare una morale dove la regola dell’agire non è più la legge morale, ma la pura volontà dell’individuo.

Papa Francesco  non è mai entrato nella questione filosofica della definizione della natura umana, non si è mai fermato a descriverne i caratteri essenziali a livello filosofico e tuttavia dalla sua insistente predicazione della fratellanza e figliolanza universali, dalla sua predicazione circa i diritti umani, dalla sua protesta contro le ingiustizie sociali, le discriminazioni religiose e il maltrattamento dei poveri, si evince chiaramente che  non è permesso di tergiversare circa i caratteri essenziali della natura umana. Per questo, dato che la verità è una sola, se l’uomo è l’animale ragionevole, e se gli uomini sono tutti fratelli, ciò vuol dire che le definizioni diverse sono sbagliate.

Uguaglianza non vuol dire uguaglianza tra individui in quanto individui, perché ogni individuo in quanto individuo è diverso dall’altro, ma vuol dire uguaglianza tra individui in quanto appartenenti alla stessa specie. L’uguaglianza buona e vera voluta da Dio non esclude affatto la diversità fra individui, comunità o gruppi, tra il più e il meno, ma anzi garantisce proprio la loro esistenza e la loro legittimità, perché è l’uguaglianza specifica di individui diversi. Le diversità naturali vanno rispettate; tolte invece le differenze ingiuste.

Giustizia e uguaglianza vogliono che a ciascuno sia dato il suo in proporzione ai diritti, ai bisogni, alle capacità e ai meriti. Invece è chiaro che laddove le necessità, i bisogni, i diritti, le esigenze ed i meriti sono uguali, ugualmente sia dato: la legge è uguale per tutti.  Anche questo è un aspetto dell’uguaglianza nell’ambito del trattamento del prossimo.

Chi rifiuta l’uguaglianza specifica in nome della libertà individuale, come avviene nel liberalismo, non è il paladino della dignità della persona, ma è l’egoista e il prepotente che vuole asservire gli altri a se stesso; è il superuomo di Nietzsche, sfruttatore dei deboli, dei poveri, dei fragili, dei sofferenti e degli emarginati.

I valori non negoziabili

Nell’enciclica Fratelli tutti Francesco fa una splendida apologia di quelli che già Benedetto XVI aveva chiamato «valori non negoziabili». Di che cosa si tratta? Dei fini e dei beni assoluti e supremi, irrinunciabili, della condotta e della vita umana, al vertice dei quali c’è Dio fine ultimo e sommo bene, sommamente amato ed amabile, i divini comandamenti della legge naturale e quindi quelli dettati da Dio a Mosè, la legge evangelica della carità sotto la mozione dello Spirito Santo, la pratica della volontà di Dio, di ciò che è assolutamente ed intrinsecamente bene senza ammettere eccezioni, dei diritti e doveri universali, immutabili ed inviolabili dell’uomo, dei precetti assoluti della ragion pratica.

Occorre però fare attenzione che il Papa è molto preoccupato di evitare nel giudizio morale o sul da fare o su come agire il farisaismo, il legalismo e il giuridismo, e quindi, la rigidità e il rigorismo. Per Francesco la perfezione e la santità cristiane non si esauriscono nella preoccupazione d’applicare esattamente la legge morale o di mettere in pratica i doveri assoluti. Questa preoccupazione è giusta, ma occorre tener conto della scala dei valori. Non tutti i valori sono irrinunciabili, ma solo quelli supremi o fondamentali.

La virtù che consente di sapere quando fare eccezione o quando soprassedere a un valore inferiore, Papa Francesco, riprendendola da San Tommaso[1], la chiama epicheia, virtù già conosciuta da Aristotele e dai Romani - l’aequitas -.

Si tratta di quella giustizia della quale parla Cristo, superiore a quella degli scribi e dei farisei, quella giustizia magnanima e dal cuore grande, che, senza tradire i valori non negoziabili, sa tuttavia quando si deve fare eccezione, sa quando si deve tollerare non per lassismo, ma per misericordia, sa quando si è dispensati da certi doveri pur importanti, sa quando e come in certe circostanze eccezionali sia concesso qualcosa che ad altri non è concesso, quella giustizia  per la quale l’agente morale, l’educatore, il pastore, il giudice, il confessore, la guida spirituale, si accorgono che in quel caso la legge comune è insufficiente a soddisfare i bisogni morali o impedisce una scelta di maggior perfezione o suggerisce di soprassedere all’applicazione di una legge inferiore per dar spazio all’applicazione di una legge o un’esigenza superiore.

Ciò vuol dire, nell’insegnamento di Francesco, come appare particolarmente evidente nell’Amoris laetitia, che ai valori inferiori, in certi casi eccezionali o in particolari circostanze o situazioni, ascoltando lo Spirito che parla nella coscienza, in base a un saggio discernimento personale non solo si può, ma si deve rinunciare, se essi ostacolano o impediscono quello supremo, cioè la carità, di attuarsi.

Non tutti i valori sono non negoziabili. Alcuni sono negoziabili per assicurare quelli non negoziabili. Occorre imparare a distinguere gli uni dagli altri. Chi assolutizza tutto è il rigido fariseo. Chi li considera tutti negoziabili è il lassista soggettivista e relativista.

Ciò pertanto non vuol dire assolutamente che il Papa interpreti l’epicheia alla maniera rahneriana, benchè a volte parli, con espressione infelice, di «creatività», inquantoché mentre per Rahner l’agente può andar oltre l’applicazione della legge aggiungendo la sua volontà, per il Papa il superamento di una data legge non dev’esser fatto in nome della propria volontà, ma in nome di una legge superiore. Il soggetto, propriamente, non deve creare, non deve inventare nulla, come se fosse un poeta o un artista, ma deve obbedire a Dio.

La tematica della verità

Papa Francesco salì al trono di Pietro nel corso dell’Anno della Fede che aveva indetto Benedetto XVI. Ciò gli dette occasione di scrivere la sua prima enciclica dedicata alla luce della fede – Lumen fidei s’intitola l’enciclica - che ci guida a Dio, che viene da Dio, che motiva e stimola l’amore del prossimo ed un sano amore di noi stessi, che ci illumina sulla meta del nostro cammino terreno con la promessa dei beni celesti, che attendiamo nella speranza.

Già in questa enciclica, scritta, come fu detto, «a quattro mani», perché in collaborazione con Benedetto XVI – caso unico ed inaudito in tutta la storia del Papato – Papa Francesco ci presenta il programma del suo Pontificato: un cammino che iniziando con la fede, appunto questa enciclica, giunge alla carità – e qui abbiamo i documenti dell’Amoris laetitia del 2016, l’esortazione apostolica sulla santità Gaudete et exsultate del 2019, l’enciclica Dilexit nos «sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo» - per concludere con l’indizione dell’attuale Giubileo della speranza, illustrato dal Papa  nella  prefazione al libro "La speranza è una luce nella notte", antologia di meditazioni del Pontefice edita dalla LEV sulla "virtù umile".

Il magistero dottrinale e dogmatico di Papa Francesco si muove sostanzialmente su due linee di fondo, combatte i due principali nemici odierni della verità entrambi originati dall’egocentrismo, che porta al soggettivismo e all’egoismo che chiude l’io in se stesso rendendolo cieco all’amore di Dio e dei fratelli: lo gnosticismo idealista, frutto della superbia e quindi esposto alle insidie e agli inganni del demonio, e l’attaccamento materialista ai beni e ai piaceri fugaci di questo mondo, privo di speranza nella vita futura, che parimenti chiude il cuore a Dio e ai fratelli.

Lo gnosticismo, affettando stima per le verità eterne e per l’assoluto, vaga tra le astrazioni, chiude gli occhi alla trascendenza del mistero cristiano e alle novità dello Spirito Santo che si sono manifestate nelle dottrine e nel progetto pastorale del Concilio Vaticano II, chiudendosi nel passato.  

Lo spirito terreno e mondano, col pretesto dell’attenzione alle novità del mondo d’oggi, progetta un futuro illusorio chiuso nella politica, schiavo del potere del denaro, basato sull’umano e non sulla fede, imbriglia la Chiesa in meschini interessi clericali e di prestigio, che le impediscono di aprirsi alla luce di Cristo e di farsi messaggera del Vangelo nel mondo.

A questi due estremismi di destra e di sinistra, di passatismo e di modernismo, di lassismo e rigorismo, di disprezzo del Concilio e di falsificazione del Concilio, Papa Francesco, l’anno scorso, in occasione del VII centenario della morte di San Tommaso, ha posto come rimedio il realismo tomista, con un poderoso appello a prendere Tommaso, Dottore comune della Chiesa, come modello di teologo, come già aveva fatto il Concilio Vaticano II. Solo lo spirito di sintesi di San Tommaso consente infatti di comprendere ed apprezzare la sintesi di tradizione e progresso, di conservazione e rinnovamento che ci viene proposta del Concilio.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 aprile 2025

 

In realtà c’è una differenza tra il concetto massonico di fratellanza e quello evangelico proclamato dal Papa: che il primo è un esser fratelli senza fondamento, perché manca Dio Padre, mentre il concetto cristiano è fondato sulla comune paternità divina. Può esistere infatti una fratellanza senza esser figli di un unico padre?

Bisogna dire allora che in realtà l’uguaglianza umana, rettamente intesa, così come l’ha intesa il Papa, benché effettivamente sia stata in qualche modo compresa ed apprezzata dalla massoneria, è logicamente collegata con quella  fratellanza che a sua volta, per essere compresa rettamente alla maniera genuinamente filosofica ed evangelica, dev’essere collegata con la ragionevolezza, che non è il puro e semplice possesso della ragione, che definisce l’uomo in quanto uomo, per cui essa è comune a tutti gli uomini, ma è il retto e sano uso della ragione, che si esprime nelle virtù della prudenza, della giustizia e della misericordia. In realtà una ragione usata male non è sorgente di fratellanza o di uguaglianza, ma di odio e divisione, come dimostra per esempio la ragione dialettica hegeliana.

Nell’enciclica Fratelli tutti Francesco fa una splendida apologia di quelli che già Benedetto XVI aveva chiamato «valori non negoziabili».

Ai due estremismi di destra e di sinistra, di passatismo e di modernismo, di lassismo e rigorismo, di disprezzo del Concilio e di falsificazione del Concilio, Papa Francesco, l’anno scorso, in occasione del VII centenario della morte di San Tommaso, ha posto come rimedio il realismo tomista, con un poderoso appello a prendere Tommaso, Dottore comune della Chiesa, come modello di teologo, come già aveva fatto il Concilio Vaticano II. Solo lo spirito di sintesi di San Tommaso consente infatti di comprendere ed apprezzare la sintesi di tradizione e progresso, di conservazione e rinnovamento che ci viene proposta del Concilio.

Immagine da Internet: Due bambini sulla strada, Chaim Soutine
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[1] Sum.Theol.,II-II, q.128, a.1, 6m; q.120, a.2, 2m.

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