01 settembre, 2020

Il problema della coscienza di sé in Cartesio (Prima Parte)

 Il problema della coscienza di sé in Cartesio

Prima Parte (di 3)

I. La più grande disgrazia capitata alla filosofia moderna

Cartesio in tutta la storia del pensiero è stato il primo filosofo che ha avuto l’audacia di fondare la realtà non su Dio, ma su se stesso, ossia sulla coscienza di sé, considerando il proprio io in modo tale che da esso si poteva dedurre in primo luogo, come fece Kant, che la conoscenza non deriva dalle cose, ma dall’autocoscienza («io penso»).

Successivamente Fichte dedusse che l’io autocosciente come pensante, pone se stesso nell’io come realtà, per cui non occorreva più ammettere una realtà esterna all’io (la «cosa in sé»). Dopo Fichte, Hegel avrebbe condotto a termine l’identificazione dell’essere col pensiero iniziata da Fichte: «il reale è il razionale e il razionale è il reale», con l’identificazione della metafisica con la logica.

Cartesio, dunque, non è il fondatore della filosofia moderna, ma la disgrazia della filosofia moderna, l’iniziatore di un falso filosofare che ha prodotto nel sec. XIX l’ateismo marxista e il panteismo hegeliano, al quale ha fatto seguito il nichilismo esistenzialista sartriano. Egli è la causa prima non delle conquiste, ma dei fallimenti della filosofia moderna. Molte volte egli è stato confutato dai tomisti[1]. Le opere di Cartesio furono poste all’Indice dalla Chiesa nel 1663.

La vera e a sana filosofia moderna è quella che ha confutato l’impostura di Cartesio, ripristinando il realismo gnoseologico biblico dell’ipsum Esse, come fecero già i teologi domenicani del ‘600, primo fra tutti Giovanni di San Tommaso. E la confutazione è perdurata nei secoli, fino ad oggi, vista l’ostinazione dei difensori di Cartesio. Occorre un continuo lavoro di ripristino del realismo per rimediare ai risorgenti guasti dell’idealismo e del panteismo, oggi condannati da Papa Francesco sotto i nomi di «gnosticismo» e «pelagianesimo»[2].  

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Immagine da internet

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