01 agosto, 2021

Il Papa e la Tradizione

  Il Papa e la Tradizione

Il Papa ci spiega la Tradizione, ma è soggetto alla Tradizione

Come sappiamo, dalla viva voce di Nostro Signore Gesù Cristo è uscita la Rivelazione dei misteri di fede della nostra salvezza eterna. Le parole del Signore sono state religiosamente raccolte dagli apostoli e dai discepoli in un complesso di proposizioni, le verità di fede, formalizzate poi nel Simbolo della Fede, in parte mandate a memoria e trasmesse oralmente, in parte messe per iscritto a formare il Nuovo Testamento, che si aggiunge all’Antico, a formare la Sacra Scrittura.

In ogni caso Cristo ha incaricato Pietro, principe degli apostoli e i loro successori, i vescovi, assistiti da Lui e dallo Spirito Santo, di conservare, insegnare, trasmettere, interpretare, difendere, spiegare e far applicare la sua dottrina a tutto il mondo fino alla fine dei secoli.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-papa-e-la-tradizione.html


Papa Benedetto XVI ha detto ai lefevriani che se vogliono essere in piena comunione con la Chiesa devono accettare tutte le dottrine del Concilio. Invece alcuni documenti pastorali possono essere discussi. Certamente si riferiva alla tendenza buonistica e all’eccessiva stima per il mondo moderno.

Così pure i Papi del postconcilio ci hanno spiegato la continuità del Concilio con la Tradizione e con la Scrittura. Non ci è lecito contestarli in ciò, ma dobbiamo recepire con fiducia le loro spiegazioni. L’interpretazione modernistica del Concilio è opera degli stessi modernisti, che vorrebbero tirare il Concilio dalla loro parte.



Immagine da internet:
- Mons. Lefebvre ai tempi del Concilio

16 commenti:

  1. Buongiorno padre, sono uno studente cattolico interessato da molto tempo alle tematiche relative alla Tradizione e al Concilio. Volevo chiederle un parere sulla figura di padre Julio Meinvielle, che ho da poco conosciuto. Mi ha fatto un'ottima impressione, perché m'è parso attento alla regalità sociale di Cristo e critico nei confronti della laicità liberale dello Stato, nei confronti della quale io stesso sono decisamente critico. Ho anche letto che egli fu molto critico verso Jacques Maritain e il suo personalismo, altra posizione che condivido. Al tempo stesso, ho letto che egli non negò mai autorità ai documenti conciliari, ed anzi ho letto una sua difesa dell'ortodossia della dichiarazione "Dignitatis Humanae", che a parer suo non legittimava la laicità dello Stato condannata da Pio IX (e a cui purtroppo ormai la Chiesa accorda troppa fiducia, a parer mio), limitandosi ad allargare a livello "pratico" i termini della tolleranza religiosa del magistero precedente, senza escludere i doveri dello Stato e della società verso Cristo Re e la vera religione. Parallelamente, ho letto che egli in privato espresse comunque personalmente giudizi duri sui papi Giovanni XXIII e soprattutto Paolo VI. Però non negò mai l'autorità del Concilio, arrivando a difenderne i documenti.
    Per la conoscenza che ha lei della figura di Meinvielle, al di là del suo giudizio sulle sue singole posizioni, mi può assicurare che in lui possa trovare un autore che posso lecitamente seguire senza andare contro il Concilio, detto tutto quanto ho sopra esposto? Mi scusi la prolissità e se le scrivo qui, non ho trovato sede più opportuna. La saluto,
    Sia lodato Gesù Cristo

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    1. Caro Studente,
      io conosco Meinvielle per uno studio storico molto interessante in-titolato “Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano”, curato da Don Ennio Innocenti, per i tipi della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, nel 1988.
      Tra l’altro questo libro contiene una buona critica a Rahner.
      Invece, per quanto riguarda Maritain, Meinvielle non ha compreso che la dottrina sociale di Maritain precorre quella della Gaudium et Spes.
      Mi fa piacere che Meinvielle abbia apprezzato la Dignitatis Huma-nae del Concilio.
      Per quanto riguarda la laicità dello Stato, non conosco la posizione di Meinvielle.
      Non posso dire di conoscere a fondo Meinvielle, ma, con le riser-ve che le ho detto, mi sembra un buon autore cattolico, tanto più se accetta i documenti del Concilio.

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    2. La ringrazio per la sua risposta. Comunque sia, personalmente sono piuttosto "critico" (con tutto il rispetto dovuto ad una pur pastorale costituzione conciliare) nei confronti della "Gaudium et Spes" e più in generale dell'idea di rapporto Chiesa-Stato e Chiesa-Modernità che è uscita dal Concilio Vaticano II. Un'idea che mi pare troppo inaccettabilmente antropocentrica, troppo inaccettabilmente poco cristocentrica. Il Concilio quando parla di libertà religiosa ("Dignitatis Humanae") non pretende più espliticamente che lo Stato riconosca Cristo Re e l'unica vera religione. Dalla DH in poi ci si limita ad invocare una "laicità non troppo laicista", ma si è aderito all'idea di Stato laico e aconfessionale condannata da Papa Pio IX. Che la separazione Stato-Chiesa condannata da Pio IX sia la stessa alla quale ora (sia pure tuonando contro gli eccessivi laicismi) la Chiesa stessa aderisce, nessuno può negarlo. Perché lo stesso Papa Benedetto (figura per la quale ho molto affetto, davvero) ha più volte detto che il Concilio ha voluto "correggere" le posizioni non solo di Pio IX e Gregorio XVI verso la modernità, ma addirittura formula una sorta di critica contro la Chiesa che da Costantino in poi ha soppresso la libertà religiosa. Già nella "Gaudium et Spes" io noto un discorso politico impostato in termini non cristocentrici. Non sono uno di quelli che tuonano contro un Concilio ecumenico con facilità, ho rispetto di un evento simile e della sua autorità. Ma mi arrogo il diritto di continuare a pensarla, sul mondo moderno e sulla laicità dello Stato, come la pensavano Pio IX, Leone XIII e Pio X, e pur non volendo accusare il Concilio di eresia, cioè di errore dottrinale, non posso fare a meno di accusarlo, a parer mio, di "errore" storico: un errore storico che consiste nell'aderire inopportunamente al pensiero laico moderno in materia dei rapporti Chiesa-Stato senza più difendere la regalità sociale di Cristo e i doveri dello Stato verso l'unica vera religione, che è quella cattolica romana. Questo è il mio pensiero

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    3. Caro Sconosciuto,
      un documento come la GS appartiene alla parte pastorale del Concilio, circa la quale Papa Benedetto ha detto che si può discutere. Invece la DH ha un carattere dottrinale, perché si riferisce esplicitamente alla Rivelazione.
      Per quanto riguarda il primo documento, anch’io avanzerei una critica, però diversa dalla sua. Secondo me il difetto, riconosciuto da molti altri, è l’eccessiva stima del mondo e la tendenza buonistica, che sembra provenire da una insufficiente considerazione delle conseguenze del peccato originale.
      Per quanto invece riguarda la DH, essa comporta la cessazione della istituzione della religione cattolica, come religione di Stato, che viene sostituita dal diritto alla libertà religiosa. Ciò naturalmente non significa ignorare la regalità di Cristo e resta il dovere dei cattolici di animare evangelicamente la vita politica.
      Tuttavia la regalità di Cristo, secondo la concezione del rapporto Stato-Chiesa, che si desume da quei due documenti, non può più essere intesa come primato nello Stato della religione cattolica, ma viene intesa come pluralismo religioso sulla base dei diritti assicurati dalla Costituzione.

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    4. Rispetto quanto dice, ma mi è impossibile credere ciò. S. Giovanni Bosco (un santo che per me significa davvero molto) insisteva tanto sulla necessità degli Stati di favorire Cristo e la Chiesa, poiché chi disconosce Cristo cade, anche politicamente. Pio IX, Leone XIII, Pio X, hanno insistito in continuazione su questo. Non posso credere che un singolo documento (peraltro una dichiarazione, nemmeno una costituzione dogmatica) di un concilio pastorale possa stravolgere ciò che la Chiesa ha ininterrottamente insegnato per secoli, e che trovo molto più opportuno. Se è vero, come si continua a ripetere, che il Concilio Vaticano II va letto alla luce del magistero precedente, non posso ignorare ciò che decine e decine di sommi pontefici hanno detto sullo Stato. Giovanni XXIII, nel convocare il Vaticano II, disse che non s'intendeva cambiare la dottrina ma semplicemente la sua applicazione ed esposizione. E che lo Stato debba riverire l'unica vera Chiesa è dottrina ininterrotta del magistero ordinario (ed anzi, Pio IX lo ribadisce nella "Quanta Cura" usando magistero straordinario). Io al più posso leggere la DH come documento rivolto alla situazione del mondo moderno. Certo non come nuova dottrina che cancella la precedente. Perché di questo si tratta, al di là dei giri di parole, a mio modo di vedere le cose: prima si diceva che lo Stato deve rispettare la Chiesa, ora dice che non deve ed anzi è bene che non lo faccia, ispirandosi anzi a quelle costituzioni moderne così tanto condannate da Gregorio XVI e Pio IX. In coscienza, non potrei mai accettare una dottrina simile, così liberale ed opposta al magistero precedente, imposta peraltro come una sorta di dogma incriticabile (mentre si continua a criticare la chiusura dei vari Gregorio XVI e Pio IX, che a parer mio avevano visto ben più in là dei loro odierni denigratori)

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    5. Ad ogni modo la ringrazio ancora per le risposte e la disponibilità

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    6. Caro Sconosciuto,
      l’insegnamento del Concilio Vaticano II sui rapporti tra Chiesa e Stato costituisce una svolta storica, che consiste in una maggiore chiarificazione della differenza tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio.
      Questa chiarificazione è avvenuta nell’ambito di una situazione storica nella quale la cristianità medievale, caratteristica dell’era costantiniana, si era dissolta. Certo è stata una cosa molto dolorosa, perché era veramente bella e feconda l’unità dell’Europa cristiana, ma abbiamo dovuto rassegnarci e trovare una soluzione.
      Qual è stata questa soluzione? Quella proposta dal Concilio. Essa assomiglia in qualche modo al rapporto della Chiesa con lo Stato, prima dell’inizio del regime costantiniano. Certamente oggi, grazie a Dio, noi cattolici, ad eccezione degli Stati islamici e comunisti, possiamo lavorare in politica con una certa libertà.
      Ma, data la situazione oggettiva, è chiaro agli occhi di tutti che la Chiesa ha perduto quel prestigio così benefico, che ha avuto nel Medioevo, per cui essa deve adattarsi a salvare il salvabile, per esempio diminuire la dannosità della legge sull’aborto, oppure rendere più difficile le pratiche per il divorzio.
      Un compito urgente per l’oggi è quello della formazione politica dei cattolici, in modo che, tra loro uniti ed organizzati, possano essere riconoscibili sulla scena politica e quindi essere un punto di riferimento per il rinnovamento della società.

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    7. Caro Padre, da un punto di vista meramente "pratico", le do totalmente e convintamente ragione. Quella grande, bellissima, splendida situazione di connubio tra Stato e Chiesa, tra Trono e Altare, non è evidentemente più concretamente possibile. E non possiamo senz'altro pretendere che la Santa Sede si rapporti, ad esempio, con Macron come si rapportava con San Luigi dei Francesi. Le do dunque ragione quando dice che stando così le cose è bene che la Chiesa, piuttosto che invocare il connubio Trono e Altare, cerchi di salvare il salvabile opponendosi alle leggi sull'aborto e sul divorzio. Siamo dunque, a livello meramente "pratico", perfettamente d'accordo. Ma ciò che non riesco ad accettare è che spesso, partendo dalla DH, non ci si limiti a dire: "Questa è la triste situazione attuale, salviamo il salvabile", ma si considera in qualche modo giusto anche a livello ideale il principio di separazione Stato-Chiesa, giungendo (persino Sua Santità Benedetto XVI fece una volta un discorso di questo tipo....) a rimproverare la Chiesa dei secoli passati per aver imposto la propria morale agli Stati confessionali. Questo proprio non mi sta bene, è semplicemente dire il contrario di quanto dicevano i grandi Papi dell'Ottocento e fino ancora a Pio XII. Un conto è accettare la drammatica situazione a livello pratico e tentare di salvare il salvabile. Altro conto è introdurre una nuova dottrina (a livello di princìpi, dunque, non solo pratico) che archivi la concezione cattolica e confessionale dello Stato (e con essa l'idea di regalità sociale di Cristo così come insegnata da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII) anche a livello dottrinale

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    8. Mi pare insomma assurdo che, per via della situazione storica sfavorevole, si voglia archiviare e superare anche a livello di princìpi l'insegnamento, ad esempio, di Leone XIII sullo Stato cattolico

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    9. Caro Sconosciuto,
      non si tratta assolutamente di archiviare o superare i principi fondamentali del rapporto tra Stato e Chiesa, fissati dallo stesso Vangelo e sempre ripresi dalla dottrina sociale della Chiesa dal Medioevo fino al Concilio Vaticano II.
      La questione, come le ho detto, non è una questione di principio, sulla quale non si discute, perché c’è in gioco la fede, ma si tratta di una questione prudenziale relativa alla organizzazione della condotta della Chiesa di oggi nei confronti dello Stato di oggi.
      I suddetti principi, benché restino immutati e al di sopra della storia vengono applicati dalla Chiesa nel corso dei secoli nella forma adatta alla situazione storica concreta.
      Le ripeto che a tutti noi cattolici piacerebbe poter vivere in una cristianità, come quella medievale, governata da sovrani cattolici fedeli al Papa. Tuttavia questa cristianità non esiste più.
      Da qui la saggezza del Concilio Vaticano II nell’indicare a noi cattolici la via per dare la nostra testimonianza di cattolici nella politica, al fine di salvaguardare quei valori umani non negoziabili dei quali hanno parlato sia Papa Benedetto che Papa Francesco e che stanno alla base della moderna convivenza civile.

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    10. Caro Padre, se così stanno le cose allora non si tratta di una dottrina, mi pare, ma semplicemente di una considerazione sui tempi attuali, e in definitiva non un'idea (quella della superiorità dello Stato laico su quello confessionale) che io (che non sono e non sarò mai d'accordo) debba per forza approvare, facendo forza alla mia coscienza (convinta, e sulla base del magistero di Pio IX e non solo sulle mie personali e fallibili opinioni, della natura intrinsecamente negativa dello Stato laico moderno). Ho letto una frase di Benedetto XVI che mi ha lasciato fortemente contrariato, nella quale il Papa emerito definisce lo Stato confessionale "anacronistico" e anzi sostiene che l'idea stessa di religione di Stato sia da respingere. Eh no. È un'idea che c'è sempre stata nel magistero della Chiesa. Papa Francesco poi addirittura arriva ad auspicare un'"Europa laica" e a dire che gli Stati confessionali "finiscono male". Cioè, ciò che don Bosco difendeva a spada tratta, e sulla base delle sue visioni mistiche e profezie, ciò che Gregorio XVI e i papi a lui successivi hanno sostenuto a spada tratta, diventa ora un qualcosa che "finisce male"? A me questa adesione al principio moderno, liberale e condannato da Pio IX di separazione Stato-Chiesa appare davvero cattolicamente parlando fuori luogo. Capisco si cerchi di salvare il salvabile, accettando nella pratica la quasi impossibilità di ottenere uno Stato cattolico. Non capisco e non capirò mai questa convinzione cattolico-liberale e democristiana (e quanto si erano espressi negativamente sul cattolicesimo liberale i sommi pontefici pre-conciliari!) che ora pare essere condivisa persino da Papa Benedetto e Papa Francesco.... E la cosa mi lascia davvero molto sorpreso e stranito.... In fede mia, non credo proprio di sbagliare se mi limito a continuare a sostenere l'opportunità e la giustizia, nei limiti del possibile, di un rapporto Stato-Chiesa che sempre il magistero ha difeso

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    11. Con questo logicamente non voglio operare una critica distruttiva né a Papa Benedetto né a Papa Francesco. Ma non riesco affatto a credere, e sulla base del magistero della Chiesa, che queste loro idee sul rapporto Chiesa-Stato (di condanna senza appello della regalità sociale di Cristo così come intesa dal magistero preconciliare) siano idealmente giuste. E nella DH vedo purtroppo l'inizio di questa deriva che dal pensiero controrivoluzionario ha portato ad una sostanziale adesione a quello democristiano, non solo (ripeto) a livello pratico ma (mi pare) anche di principi

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    12. Possibile (per fare un esempio relativo al pensiero controrivoluzionario che ho citato prima) che come cattolico io ora non possa più considerare punti di riferimento pensatori come Joseph de Maistre (stimato da Pio VII e don Bosco), Louis de Bonald, Juan Donoso Cortes, Plinio Corrêa de Oliveira, perché essi difendevano lo Stato cattolico contro il laicismo moderno, in perfetta linea col magistero papale (e che difatti erano considerati autori di tutto rispetto nella Chiesa pre-conciliare)? Non credo, insomma...

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    13. Caro Sconosciuto,
      le posizioni attuali della Chiesa riguardo al rapporto dello Stato con la Chiesa non devono essere considerate un tradimento del Magistero precedente, ma sono un’applicazione dei medesimi principi in modo adatto ad una situazione storica, che è mutata.
      Al riguardo bisogna distinguere lo Stato laico dallo Stato cattolico. Inoltre bisogna distinguere lo Stato laico dallo Stato laicista. Lo Stato laico è quello Stato che persegue il bene comune temporale nel rispetto della libertà religiosa. Lo Stato laicista è uno Stato organizzato in modo tale da ostacolare la missione della Chiesa.
      Lo Stato cattolico è quello Stato che promuove la religione di Stato. Ora, che cosa è avvenuto nel secolo scorso in Italia? Il passaggio dal regime concordatario fascista del 1929, al regime concordatario dell’Italia democratica del 1983. Su questo punto, in conformità alla dichiarazione conciliare DH, si è passati dalla religione di Stato alla libertà religiosa.
      Perchè questo cambiamento? Perché nella società italiana del corso del secolo scorso è sorto un pluralismo religioso, cioè la società è passata da una grande maggioranza di cattolici ad una piccola minoranza.
      Nel contempo è enormemente aumentato il numero dei non cattolici, dei non credenti e di tanti che si dicono cattolici e non lo sono, si tratti di filolefevriani o di modernisti.
      Stante questa situazione, è chiaro che non è più possibile uno Stato cattolico. Occorre uno Stato laico, però non laicista.
      Il Concilio Vaticano II e il Magistero dei Papi postconciliari costituiscono le guide morali per il nostro tempo e per tutto il mondo. Esse mantengono i principi fondamentali del rapporto Stato-Chiesa, ma li applicano in modo adatto alla situazione di oggi, in modo che si abbia una convivenza pacifica nella accettazione reciproca delle proprie posizioni dottrinali e nel rispetto dei principi comuni sanciti dalla Costituzione.

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    14. Non so, mi pare un grave allontanamento da ciò che diceva prima il magistero... Pio IX condannò anche lo Stato laico in sé, non solo quello laicista... Comprendo che il Papa con il Concilio abbia voluto tentare di applicare il principio oggi, ma secondo me si è concesso fin troppo al pensiero laico moderno. Rispetto questa nuova linea, ma personalmente continuo a ritenere molto più opportuno il tentativo di salvare il salvabile anche rispetto alla religione di Stato. Non credo, in coscienza, di prendere in questo senso una posizione sbagliata o persino eretica: è banalmente ciò che sul tema diceva Pio IX. E d'altronde l'accettazione dello Stato laico da parte della DH non credo possa dirsi una sorta di dogma... Non riesco a non vedere, tra il magistero pre- e post-conciliare, una innegabile variazione che non risiede solo nella forma ma anche, in parte, nella sostanza: non si predica più il dovere morale degli Stati di riconoscere Cristo e la Chiesa. Secondo me questo, pur tenendo conto delle situazioni storiche attuali sfavorevoli, bisognerebbe continuare a dirlo.
      Ad ogni modo, continuo a considerare lo Stato confessionale un qualcosa di molto più giusto dello Stato laico (che essendo indifferente al problema religioso si rifiuta di riconoscere Cristo Re).
      La ringrazio ancora per la disponibilità e le risposte

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    15. Caro Sconosciuto,
      lo Stato laico è stato teorizzato già nel secolo XIII da San Tommaso d’Aquino, nel suo trattato De Regimine Principum, dove egli chiarisce che il fino dello Stato è garantire la felicità e la giustizia in questo mondo e non è quello di divulgare il cristianesimo. Questo è il compito della Chiesa, non dello Stato.
      Ciò non significa assolutamente che lo Stato sia autorizzato ad essere indifferente in materia religiosa. Il principio della libertà religiosa significa appunto il rispetto della religione naturale e anche della coscienza individuale.
      La nostra Costituzione prevede il reato di vilipendio alla religione. Che cos’è questo se non il riconoscimento ufficiale del valore della religione?
      Ma lei sa bene come bisogna distinguere la religione naturale da quella rivelata. In base a questa distinzione Papa Francesco parla di una fratellanza universale, che consente una certa collaborazione in campo civile tra cristiani e musulmani, e di una fratellanza fondata sulla figliolanza divina, che è esclusivamente propria dei cristiani.
      In base a questi principi, lei comprende che un Capo di Stato, oggi come oggi, non può proclamare Cristo Re della società come era possibile ai tempi di San Luigi IX di Francia o di San Venceslao oppure di Filippo II, re di Spagna. Non è più possibile che la religione cattolica goda di privilegi civili, perché, come le ho detto, oggi noi cattolici, anche in Stati di tradizione cattolica, siamo solo una piccola minoranza.
      Questo non vuol dire che non dobbiamo divulgare la necessità che il Vangelo animi la politica, ma bisogna che nel contempo prendiamo atto dei limiti delle nostre possibilità, li accettiamo serenamente come permessi dalla Provvidenza, accontentandoci della ricerca di quel bene comune, che è garantito dalla nostra Costituzione, e nella speranza che l’attuale processo di degradazione morale conosca una inversione di tendenza, in modo che Cristo possa essere maggiormente presente nella dinamica della vita politica.

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