29 gennaio, 2022

Da Hegel a Marx - Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo attraverso Feuerbach - Quarta Parte (4/5)

 Da Hegel a Marx

Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo

attraverso Feuerbach

Quarta Parte (4/5)

La teoria marxiana della verità

In Marx, come già in Feuerbach, si nota un recupero del realismo contro l’inganno dell’idealismo. Si dà fiducia all’esperienza sensibile, ritenendola capace di verità e non semplice opinione o parvenza. Marx si accorge che Hegel, riducendo il reale all’ideale, l’essere all’essenza, il concreto all’astratto, l’individuale all’universale, l’essere all’essere pensato, l’oggetto al soggetto, il sapere al sapere di sapere, perde di vista la realtà, che è esterna al pensiero e non si identifica col pensiero, col concetto, con l’idea.

L’errore di Marx, però, è quello di confondere lo spirituale con l’ideale e il reale col materiale. Da qui viene il suo ateismo antropologico, per il quale Marx, come Feuerbach, sostituisce l’uomo allo Spirito assoluto hegeliano. Per Marx non è lo spirito che pone se stesso, è fondato su se stesso, dipende da se stesso ed è l’ente supremo, ma è l’uomo in carne ed ossa, il Gattungswesen, nel quale egli distingue certo il materiale dallo spirituale, ma dove è chiaro che dà il primato al materiale, sicchè per Marx la coscienza dipende dalla materia non solo nel conoscere, ma anche nell’essere. 

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La visione prassistica della verità da cosa dipende in Marx? Dalla stessa concezione marxista dell’uomo, per cui, come in Fichte, l’uomo non è creatura di Dio, ma produce se stesso. Marx precisa che ciò avviene nella prassi politica collettiva, quindi prassi non individuale, ma di classe o di partito.

Per questo la verità non è adeguazione del pensiero a ciò che Dio ha fatto e tanto meno a un’inesistente Parola di Dio, ma è conoscenza di ciò che l’uomo fa, secondo l’adagio di Gianbattista Vico: verum ipsum factum. L’uomo conosce solo ciò che egli stesso fa.

Ma allora la verità, per Marx, se non esclude in modo assoluto l’adaequatio a un dato esterno, tuttavia in fin dei conti, la stabilisce l’uomo stesso nel momento in cui agisce in base a scopi politici prefissati, e la trae da ciò che egli stesso fa nel momento in cui agisce. L’agire non è regolato dal sapere, ma il sapere nasce dall’agire.

Per questo il realismo marxista certamente si oppone, come già in Feuerbach, all’idealismo hegeliano dell’essere come essere pensato, ma deve convivere col principio della prassi, che è un’eredità fichtiana e vorremmo dire tratta dalla magia. Come il mago si propone di trasformare la realtà col suo potere magico, così Marx è convinto di poter trasformare il reale con le sue idee. 

Del resto non parla forse lo stesso Hegel del «potere magico» del negativo? Per questo la gnoseologia marxista è dialettica: non è un puro sapere, ma è un fare-sapere, un saper che è un fare e un fare che è un sapere.

La verità, precisa Lenin, rincarando la dose, non è mai imparziale; la verità per sua essenza, è sempre verità di parte, è verità di partito.

Immagini da internet: - Giambattista Vico - giochi di magia - Lenin

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