27 gennaio, 2022

Da Hegel a Marx - Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo attraverso Feuerbach - Terza Parte (3/5)

  Da Hegel a Marx

Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo

attraverso Feuerbach

Terza Parte (3/5)

L’ateismo di Feuerbach

Feuerbach[1]  affetta un amore per l’uomo fondato sull’ateismo e non s’accorge che il vero amore del prossimo è fondato sull’amore per Dio suo creatore e sua immagine. È impossibile amare il prossimo se non si ama Dio, né vero amore del prossimo è farne un dio. Odiare Dio porta logicamente ad odiare il prossimo, suo creatore e sua immagine. Se uno ama veramente il prossimo, vuol dire che ama Dio che lo ha creato a sua immagine e somiglianza.

Il fatto è che Feuerbach ha una concezione materialistica dell’uomo. Amare l’uomo come fosse un animale, senza badare ai suoi bisogni spirituali, non è vero amore per l’uomo. Amare l’altro solo con le passioni non è vero amore per l’altro. Da Hegel Feuerbach avrebbe potuto apprendere la dignità e il valore dello spirito. E invece, sia pur giustamente irritato dalla sua gnoseologia idealista che riduce l’essere all’essere pensato, la materia alla materia pensata, e l’amore all’amore pensato, Feuerbach reagisce con un realismo sensuale ed emotivo, che ritrova sì la materia, ma ne esagera l’importanza, cadendo nell’eccesso opposto di porla al di sopra dello spirito. E Marx erediterà proprio questa concezione materialistica dello spirito. 

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Nostro dovere è quello di contrapporre ragionamento a ragionamento, e contrapporre al falso ragionamento quello giusto, dato dalle prove dell’esistenza di Dio. È questa la doverosa confutazione dell’ateismo.

Ricordo che il mio insegnante di sociologia all’Università di Bologna, Gian Franco Morra, parlava di ateismo «postulatorio», cioè sosteneva che l’ateismo non è convinzione che nasca da un ragionamento, ma è una posizione di comodo.


Ma esiste anche da secoli una filosofia atea, esistono filosofi atei, come per esempio appunto Feuerbach e Marx, i quali pretendono di dimostrare scientificamente il loro ateismo.

La questione, dunque, non è così semplice. La certezza che Dio esiste non la ricaviamo da una semplice intuizione o sentimento spontaneo, ma è effetto di un ragionamento, come ci fa presente San Paolo (Rm 1,20) e ci è ricordato dal Concilio Vaticano I (Denz.3004).

Errano gli atei nei loro ragionamenti? Certo, come nota la Scrittura (Sap 2,1-5;13, 1-5). E per questo essa li considera degli stolti. Tuttavia, non ci si può limitare a dare a Feuerbach e a Marx dello stolto, ma occorre mostrare la falsità dei loro ragionamenti, tanto più che essi hanno l’apparenza della verità e dal sec. XIX hanno convinto e convincono centinaia e centinaia di milioni di esseri umani. Occorre dunque ragionando correttamente, mostrar loro che sbagliano



La ragione, dal momento in cui comincia a funzionare nel fanciullo, se ben educata e non è volontariamente frenata nel suo moto spontaneo di induzione della causa dall’effetto, a partire dall’esperienza sensibile, si eleva spontaneamente e necessariamente a scoprire che Dio esiste e lì si ferma soddisfatta.

Immagini da internet:
- Prof. Gianfranco Morra

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