31 gennaio, 2022

Sul concetto rahneriano di Dio - Prima Parte (1/5)

  Sul concetto rahneriano di Dio

Prima Parte (1/5)

Esse Dei est ipsum eius intelligere

Sum.Theol., I, q.16, q.5

 

L’interpretazione rahneriana della gnoseologia tomista 

In un memorabile studio critico il grande teologo del secolo scorso, il Padre Stimmatino Cornelio Fabro, mise in luce la radice idealista della teologia di Rahner, mascherata sotto una falsa interpretazione della gnoseologia metafisica di San Tommaso, concentrando l’attenzione soprattutto su Uditori della parola[1]. Sorprende come lo studio di Fabro non sia stato appoggiato significativamente nell’ambito della Chiesa.

In quegli anni decisivi dell’immediato postconcilio era iniziata la scalata al potere dei rahneriani, i quali, fattisi la fama di protagonisti del Concilio Vaticano II, sfruttarono abilmente il prestigio ottenuto per seminare nella Chiesa un’interpretazione modernistica del Concilio, che suscitò la reazione lefevriana, dando nascita ad una logorante guerra tra fratelli, che dura a tutt’oggi. 

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Rahner fa dire a San Tommaso esattamente l’opposto di quello che effettivamente insegna su questo delicatissimo tema della conoscenza, affermando che Tommaso «rigetta la concezione volgare dell’atto conoscitivo come un urtare contro qualcosa, un protendersi intenzionalmente verso l’esterno».

 

Cita senza capirla e in modo tronco un’asserzione di Tommaso, il quale, parlando della conoscenza dell’angelo, cita Platone per il quale il conoscere avviene «per contatto con la cosa intellegibile, e fa dire a Tommaso che il conoscere non avviene in questo modo.



Indubbiamente nel caso della conoscenza umana il primo contatto – che sia un urto o un tocco delicato non interessa - con la realtà non avviene certamente per un atto di coscienza, ma attraverso i sensi, ma ciò non esclude affatto l’intenzionalità della rappresentazione concettuale, quella che Tommaso chiama species intellegibilis.

L’essere intenzionale del concetto non è un «protendersi verso l’esterno». Questa è opera semmai delle mani nel senso del tatto. È chiaro che l’atto del pensiero è immanente all’intelletto. Ma il pensiero, mediante l’intenzionalità, porta all’interno della mente ciò che è fuori, privandolo della sua materialità. Certo l’intentio è un certo tendere, che però non va inteso come un moto verso l’esterno, ma è un tendere interiore verso l’oggetto.

 Immagini da internet

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