20 febbraio, 2022

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant - Quarta Parte (4/4)

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant

Quarta Parte (4/4) 

Le possibili prove secondo Kant

Secondo Kant, quindi, tutti i possibili argomenti per la dimostrazione dell’esistenza di Dio – 1. quello ex motu (primum movens vel motor immobilis), 2. quello ex causa efficienti (prima causa vel ens primum), 3. quello ex contingentia mundi (ens necessarium), 4. quello ex gradibus entis (ens summum vel supremum), 5. quello ex finalitate mundi (finis ultimus vel summum bonum) si riducono all’argomento ontologico di Sant’Anselmo ex essentia Dei ut id quo nihil maius cogitari potest.

E questo come mai? Perché Kant non è capace di prendere in considerazione il problema dell’essere e della causa dell’essere. Egli parla bensì di esistenza, ma si tratta dell’essenza, non dell’atto d’essere dell’essenza. Ora, siccome Sant’Anselmo parte dal concetto di Dio, ossia considera l’essenza di Dio, qui Kant si sente a suo agio; senonché, accorgendosi che Anselmo vuol concludere all’esistenza ed avendo un concetto solamente empirico di esistenza, oltre a sapere che essenza non vuol dire ancora esistenza (vedi il discorso dei cento talleri), osserva giustamente che l’argomento di Anselmo non è dimostrativo perchè dà per scontato proprio ciò che vuol dimostrare, ossia che Dio esiste. Kant si accorge che Anselmo vuol dimostrare l’esistenza di un Dio che suppone già esistente, partendo dalla definizione della natura divina, la cui essenza coincide con l’esistenza. 

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Fontanellato, 2 febbraio 2022

Il sistema kantiano, come tutti i sistemi idealistici a partire da Cartesio fino a Giovanni Gentile, non è interessato alla realtà, ma alle idee. Per questo ciò che ad esso interessa non è l’essere, il reale per eccellenza, ma l’essenza. Quello che interessa gli idealisti è organizzare un perfetto, sistematico, ordinato ed unitario complesso di idee, e di sillogismi rigorosamente dedotto da una prima originaria idea (il cogito di Cartesio), badando non all’aderenza dell’ideale al reale, ma alla supposta validità assoluta dell’idea in se stessa. Per questo, per loro Dio non è il primum, supremum, realissimum ens, ma è la prima, suprema e realissima, reificata o ipostatizzata Idea della Ragione.

Leggendo le opere degli idealisti non abbiamo l’impressione che essi ci mettano a contatto con la realtà, ma di sfogliare un album di fotografie o di vedere un film alla TV. L’idealista non c’insegna come vedere la realtà, ma come lui la vede. All’idealista interessa che impariamo le sue idee. Se poi a queste idee non corrisponde la realtà, peggio per la realtà.


Per Kant, quindi, la ragione non ha nulla da imparare da Dio in fatto di morale. Egli si rifiuta di spiegare l’origine del male nell’uomo col dogma cristiano del peccato originale, che per lui è un semplice mito, ma lo considera il male intrinseco alla natura umana, che per lui è «naturalmente cattiva». 

Per Kant ipotizzare o figurarsi questa idea come fosse una persona assoluta che riveli alla ragione qualcosa di se stessa, non ha senso, è un inaccettabile antropomorfismo. Da qui si capisce come la teologia kantiana neghi la possibilità stessa che Dio riveli qualcosa di sé alla ragione, così da diventare oggetto di fede.

Fuori della mente, nel tempo e nello spazio, c’è solo la sostanza materiale, ci sono solo i corpi, le cose in sé che appaiono come fenomeni, gli enti e gli oggetti della tecnica, della natura e del cosmo («il cielo stellato sopra di me»).

Immahini da Internet

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