25 gennaio, 2022

Da Hegel a Marx - Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo attraverso Feuerbach - Seconda Parte (2/5)

Da Hegel a Marx

Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo

attraverso Feuerbach

Seconda Parte (2/5)

L’ateismo marxista

L’ateismo marxista nasce da una maniera falsa di concepire la miseria e la schiavitù dell’uomo, una malintesa compassione per l’uomo oppresso e avvilito dalla classe dominante, un modo di pensare che conduce ad operare in una maniera ingiusta e controproducente per la elevazione e per la liberazione dell’uomo. 

Per Marx concepire un uomo soggetto a un Dio vuol dire umiliare l’uomo e non riconoscergli la sua dignità. Vuol dire approvare la schiavitù e impedire la libertà dell’uomo. La religione per lui è il modo col quale i padroni sfruttano e tengono sottomessi i lavoratori illudendoli con vane speranze ultraterrene. Dunque l’ateismo è la via della liberazione dell’uomo.

La religione secondo lui proibisce di ribellarsi all’ingiustizia patita con la falsa promessa di un compenso celeste. Ma per Marx non esiste nessun al di là; o la felicità è su questa terra o non esiste felicità per l’uomo. I comunisti di oggi devono accontentarsi di preparare con le loro lotte operaie la società comunista di domani. Questo è il discorso di Marx.  

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Una forma estrema e spaventosa di ateismo è il nichilismo, il disgusto per l’esistenza, che considera indifferente l’esistere o il non esistere, che Dio esista o che non esista, il vivere o il morire, il bene o il male, a causa di un’identificazione dell’essere col nulla.

Padre Tomas Tyn nota acutamente che l’hegelismo può avere un esito nichilista.

Il nichilismo leopardiano, per il quale l’essere proviene dal nulla e torna al nulla, può essere ricavato dal panteismo hegeliano.

La ragione, che nel porre le cause retrocede all’infinito senza mai fermarsi, è come se precipitasse in un baratro, non trova mai pace.

Infatti nella retrocessione all’infinito il pensiero che non arriva mai ad una conclusione certa e definitiva, se non è preso da un gusto morboso, prova un senso di vuoto e di insopportabile frustrazione. Per questo Aristotele diceva: ananke stenai, bisogna fermarsi. Ed egli saggiamente si fermò sul famoso Motore immobile, che poi è Dio.

La sana ragione ha bisogno di acquietarsi in una causa che sia solo o totalmente causa, quella che si chiama causa prima o assoluta o sufficiente, sufficiente a saziare il suo bisogno di infinito. Ora, le scienze sperimentali ci danno solo delle cause causate. Per questo, per retrocedere alla causa prima occorre elevarsi al sapere metafisico, che concepisce l’ente astraendo dalla materia, principio di finitezza, per cui, potendo conoscere l’ente nella sua universalità analogica, può formare il concetto di ente supremo o causa prima.

Immagini da internet: P. Tomas Tyn, Leopardi, Aristotele

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