12 febbraio, 2025

Il Beato Giuseppe Girotti testimone di Cristo davanti ad Hitler - Seconda Parte (2/2)

 

Il Beato Giuseppe Girotti

testimone di Cristo davanti ad Hitler

Seconda Parte (2/2)

Hitler dietro suggerimento di un certo Lanz Von Lebenfels, ex-monaco apostata, fu indotto a rovesciare il rapporto biblico: il popolo eletto era la razza tedesca; il vero Dio non era il puro Essere della Bibbia, ma era il Dio essere-non-essere, il Dio manicheo, quello di Hegel, che – guarda caso – riprendeva quello della Kabbala; il popolo malvagio erano gli Ebrei, il cui Dio era il Dio del male. Il vero Messia non era Cristo, ma era lui.

Il vero Dio per Hitler è la ruota della vita, antichissimo simbolo indiano, una successione infinita di vita-morte-vita, presente anche nella massoneria esoterica, senza che mai la vita prevalga definitivamente sulla morte, perché Dio non è pura vita, ma vita e morte entrano nella sua stessa essenza di Dio. La vita procura la morte e la morte procura la vita. Il Dio di Hegel non è altra cosa. Si identifica con la Storia, che è mescolanza inestricabile di essere e non essere, vero e falso, bene e male, vita e morte. 

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 Immagine da Internet:-  Dachau (1933-1945)

11 febbraio, 2025

Il Beato Giuseppe Girotti testimone di Cristo davanti ad Hitler

 

Il Beato Giuseppe Girotti

testimone di Cristo davanti ad Hitler

Prima Parte (21/2)

 Davide contro Golia

Il mio Confratello ed amico Padre Massimo Negrelli, incaricato per le Cause dei Santi della mia provincia domenicana, pubblicò nel 2014 presso le Edizioni ESD  di Bologna una biografia del Beato Giuseppe Girotti, domenicano ucciso nel campo di concentramento di  Dachau  dai nazisti in odio alla fede cristiana, da lui testimoniata con la carità verso gli Ebrei perseguitati dal nazismo.

Di recente Padre Massimo mi ha inviato come suo contributo al presente Anno Santo, una Presentazione del suo libro con richiesta di pubblicazione, cosa che faccio ben volentieri. Essa contiene un breve profilo biografico del Martire domenicano, che fu anche illustre biblista. 

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Padre Giuseppe usava tutte le precauzioni per evitare di essere scoperto. Ma purtroppo, come Cristo, fu tradito da una persona da lui ben conosciuta. La radice della sua grande carità non si esaurisce nel buon cuore o nella filantropia. Una testimonianza eroica di carità come la sua non si spiega a sufficienza con questi fattori semplicemente umani. Ma la carità è il frutto della verità di fede. La verità può restare sterile, senza carità. Ma non c’è carità senza verità. Ed è logico che quanto più conosciamo la verità, tanto più siamo stimolati a praticare la carità.

 

Immagine da Internet: Beato P. Giuseppe Girotti, OP

09 febbraio, 2025

La giustizia del Padre - Terza Parte (3/3)

 

La giustizia del Padre

Terza Parte (3/3)

 Mysterium Crucis

Morendo ha distrutto la morte

Dal Prefazio della Messa

 

Vexilla Regis prodeunt,

fulget Crucis mysterium

            Inno

 

Noi predichiamo Cristo crocifisso,

scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani

I Cor 1,23

Il mistero della croce è un mistero di sapienza, di amore, di giustizia, di misericordia, di salvezza e di gloria. Mistero di sapienza, perché denota un’intelligenza provvidenziale che ha saputo volgere in bene ciò che era conseguenza del male e progettare per l’uomo un destino migliore di quello che era previsto prima del peccato, utilizzando le conseguenze del peccato. Mistero di amore, perché Cristo si sacrifica per noi per amore. Mistero di giustizia, perché è riparazione dell’offesa fatta da noi al Padre e soddisfazione alla sua dignità. Mistero di misericordia, perché è espressione della misericordia del Padre nei nostri confronti. Mistero di gloria perchè per crucem ad lucem, perché per mezzo della croce meritiamo ed otteniamo la gloria di figli di Dio eredi della vita eterna.

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Cristo ha voluto morire non nel senso che si sia dato la morte o si sia suicidato, - il fatto del morire come tale gli ripugnava ed Egli è stato ingiustamente ucciso -, ma in quanto ha voluto esprimere il suo immenso amore per noi pagando con la vita questo amore e intendendo il suo morire come offerta di sé in sacrificio per la salvezza del mondo.

La Croce di Cristo sembra scandalosa o cosa stolta, ma in realtà è sapienza e potenza di Dio. Occorre dunque dissipare la sembianza di scandalosità e di stoltezza e mostrare dove sta la sapienza e la potenza. Lutero ed Hegel con Rahner assumono erroneamente scandalo e stoltezza della Croce come fossero reali e presentano la Croce come vero scandalo e vera stoltezza, da cui la fede contro la ragione; ma nel contempo pretendono di sciogliere un’apparente contraddizione falsando il contenuto del dogma della Redenzione come se Dio ci salvasse senza meriti o volesse la nostra morte o ci spingesse al masochismo o al sadismo.

Hegel con la sua dialettica del negativo che produce il positivo intendeva interpretare la concezione luterana della Redenzione. Nel mistero della Croce sembra che la morte produca la vita. Invece questo è un errore gravissimo, che sconvolge totalmente il significato della Croce e lo trasforma in un’opera del demonio: è il demonio che ci vorrebbe convincere che uccidendo e uccidendoci otteniamo la vita. In realtà è solo la Vita che procura la vita e uccide la morte. Solo che sulla Croce la Vita si serve della stessa morte per ottenere la vita. Non è infatti la morte come tale che ci procura questo prodigio, ma è la morte assunta da un Dio che è il Dio della vita. 

Immagine da Internet: Inno

08 febbraio, 2025

La giustizia del Padre - Seconda Parte (2/3)

 

La giustizia del Padre

Seconda Parte (2/3)

Che cosa vuol dire soddisfare a Dio?

La parola «soddisfazione» è d’uso molto comune, per esempio: «Ho avuto molte soddisfazioni dalla vita», «sono soddisfatto di ciò», per dire: sono contento. Il termine soddisfare viene dal latino satis-facere, che vuol dire «fare abbastanza», ma fare abbastanza in che senso? A quale scopo? Per render contento, e quindi soddisfatto qualcuno.

Per questo il verbo soddisfare lo si usa con l’accusativo: soddisfare qualcuno. Lo si può usare anche col dativo, per esempio: soddisfare alle richieste, andare incontro a certe esigenze. Il verbo è meno usato nel senso giudiziario o giuridico: pagare il fio o scontare la pena per onorare la legge e riparare al danno fatto, oppure «dare soddisfazione a qualcuno per un’offesa subita», così da offrirgli un compenso o un risarcimento o una riparazione. In questo caso non si dice soddisfare qualcuno, ma soddisfare a qualcuno o per qualcuno o per qualcosa.

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Il dogma tridentino parla della soddisfazione operata da Cristo al nostro posto, data al Padre per la nostra salvezza: «satisfecit pro nobis», ove quel pro non vuol dire solo al nostro posto, ma anche a nostro vantaggio. Come infatti insegna il Concilio di Trento, l’uomo, «peccando, incorse a causa dell’offesa della prevaricazione, nell’ira e nell’indignazione di Dio e quindi nella morte» (Denz. 1511).

Naturalmente l’ira divina qui non è una passione, ma è una metafora che rappresenta l’odio della volontà divina per il peccato commesso dall’uomo. Non odia invece certamente l’uomo, perché Egli è amore e bontà infiniti. Tuttavia, col linguaggio biblico, possiamo dire che Dio è adirato nei confronti dell’uomo che pecca contro di lui.

Quanto al satisfecit pro nobis, Rahner non accetta l’interpretazione secondo la quale Cristo ha soddisfatto al nostro posto, perché imposta male la questione. Egli immagina che il dogma tridentino supponga che Cristo liberi o esima l’uomo dal compito che gli viene richiesto davanti a Dio e che «egli tuttavia non è in grado di realizzare».

Ebbene, nulla di tutto questo. Il pro nobis tridentino è una verità di fede che entra nel dogma della Redenzione e suppone la consapevolezza che l’uomo dopo il peccato si è procurato un danno che con le sue sole forze non è in grado di riparare. Data questa incapacità, Cristo sopperisce con la sua potenza sanatrice divina dando al posto dell’uomo al Padre quella soddisfazione che l’uomo da sé non riesce ad operare. Dunque Cristo non fa quello che l’uomo dovrebbe fare e non fa, come crede Rahner, ma semplicemente fa per l’uomo e al suo posto, ciò che l’uomo non è capace di fare, il che evidentemente è un atto di amore e di misericordia e non un’umiliante sostituzione, deresponsabilizzazione o prevaricazione, come crede Rahner.

 
Immagine da Internet: Orazione di Cristo nell'orto di Getsemani, Carlo Picozzi

07 febbraio, 2025

La giustizia del Padre - Prima Parte (1/3)

 

La giustizia del Padre

Prima Parte (1/3)

Si è manifestata la giustizia di Dio

Rm 3,21

 Dio vuole che l’uomo sia giusto nei suoi confronti

Il concetto biblico di giustizia (zedakà) comporta una virtù per cui l’uomo è giusto (zaddìq), nel senso di essere retto, operare il bene, essere buono, santo e perfetto. Essa di per sé non comporta un rapporto né con la legge (torah) né col prossimo, ma implica e conduce spontaneamente a questo rapporto, per cui è giusto chi pratica la legge e dà a ciascuno il suo.

E qui il concetto biblico viene ad incontrarsi col concetto romano della iustitia e del jus, ossia del tribuere unicuique suum, il rispetto dei diritti altrui e la rivendicazione dei propri. Abbiamo anche il rapporto con la dikaiosyne greca come virtù della socialità o virtù politica

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Si sente spesso parlare della misericordia di Dio, ma della giustizia poco si parla, se non per ricondurla alla misericordia, quasi a voler insinuare che essendo la giustizia il contrario della misericordia, è meglio tacerne. Eppure non è possibile negare che Dio sia giusto giudice e rimuneratore dei giusti e degli ingiusti.

Non è vero, come dice Rahner che «Dio ama in maniera originaria e senza motivo il peccatore». Dio ama il peccatore a patto che si penta e quindi c’è un motivo ben preciso per il quale Dio ami il peccatore o lo salvi. Dio ama il peccatore pentito, non quello che non si pente, anche se continua ad amarlo come sua creatura. Dio ama il peccatore col renderlo giusto e questa è giustizia divina. Ma giustizia divina è anche la punizione del peccatore ostinato.

Certo, Dio ama il peccatore originariamente ed incondizionatamente in quanto è creatore e il peccatore è sua creatura. Così Egli ama anche i dannati dell’inferno; ma non li ama in quanto peccano, perché Dio non ama l’ingiustizia. Dio, in quanto giusto, ama i giusti e per questo Dio giustifica il peccatore; ma conseguentemente non ama il peccatore che ha peccato e non si pente, ossia il peccatore in quanto tale, in stato o in atto di peccato; anzi è con lui adirato; ma ama, perdonandolo e giustificandolo, solo il peccatore che pur restando nella condizione di peccatore, è pentito, infondendo nel suo cuore la grazia del pentimento.

 
Immagine da Internet: Conversione dell'innominato, Gonin (1840)

06 febbraio, 2025

Lo sguardo nel buio - Il concetto rahneriano del «Mistero assoluto» - Seconda Parte (2/2)

 

Lo sguardo nel buio

Il concetto rahneriano del «Mistero assoluto»

 Seconda Parte (2/2)

 La vera nozione del mistero divino

 Egli sa quello che è celato nelle tenebre

Dn 2,22

Tutte le tenebre sono riservate all’empio

Gb 20,26

Il mistero divino è una realtà immensa, smisurata, sconfinata, infinita. Essa sta davanti al nostro intelletto come una luce vivissima, un cibo appetitosissimo, un bene immenso e incomparabile. Esiste un’analogia tra il piacere fisico e quello spirituale.

L’opposizione paolina fra carne e spirito non si riferisce a questa somiglianza naturale, che Dio stesso ha voluto, come creatore dello spirito e del corpo, ma si riferisce alla situazione attuale della nostra natura decaduta dopo il peccato originale, per la quale quei due piani del piacere non si accordano più ma sono in conflitto tra di loro, per cui per godere di uno occorre in qualche modo rifiutare l’altro. Tuttavia la prospettiva cristiana della salvezza è la loro riconciliazione. Non è quella platonica della scomparsa del piacere fisico e della sola permanenza di quello spirituale, perché, come è noto, la prospettiva cristiana prevede la risurrezione del corpo.

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Il mistero divino è un qualcosa che ci supera e non sappiamo comprendere nella sua interezza; ma proprio per questo nel nostro indagarlo «con zelo, pietà e sobrietà», come insegna il Concilio Vaticano I (Denz.3016), è sorgente perenne ed inesauribile di luce di conoscenza per il nostro intelletto.

Lo sbaglio di Rahner sta nel vedere i concetti nuovi non in continuità con i precedenti, non come conferma e sviluppo lineare dei precedenti, ma come rottura, contrasto, negazione o smentita, perchè per Rahner, per sua espressa dichiarazione, come per Hegel, i concetti dogmatici non sono fissi ma fluidi e mutevoli. … Ciò che allora crediamo essere l’oggetto della nostra esperienza non è più Dio che dev’essere concepito come ente, facendo uso della nozione analogica dell’essere, ma un idolo della nostra immaginazione gradito alla nostra affettività sensitiva o al nostro gusto estetico o alla nostra creatività poetica.

La Bibbia ci proibisce di farci immagini di Dio in quanto vuol distoglierci dall’idolatria e dal politeismo, come se Dio fosse un artefatto costruito dalle nostre mani o un concetto prodotto dalla nostra mente. Ma non ci proibisce affatto di usare prudentemente l’immaginazione per concepire Dio sotto il velo dell’immagine, soprattutto della figura umana. Dio può e deve essere da noi concepito facendo uso della nozione analogica dell’ente e delle nozioni trascendentali.

Il trascendentale non è, come crede Rahner, la proprietà di un’esperienza che avrebbe la pretesa di sperimentare Dio come io sperimento il tepore del sole o il piacere dell’acqua fresca o il sapore di un gelato. Gli antichi Greci e Romani non avevano torto nel rappresentare la divinità sotto forma umana.  Lo sbaglio stava nel politeismo e quindi nel credere che gli attributi divini non siano una sola cosa in Dio, ma ognuno costituisca una divinità.

Immagine da Internet:
- Trinità del Salterio, miniatura dalla Bibbia di Heisterbach, 1240 circa.

05 febbraio, 2025

Lo sguardo nel buio - Il concetto rahneriano del «Mistero assoluto» - Prima Parte (1/2)

 

Lo sguardo nel buio

Il concetto rahneriano del «Mistero assoluto»

 Prima Parte (1/2)

 

Egli conta il numero delle stelle

Sal 147,4

Conta le stelle, se riesci a contarle

Gen 15,5

Il mistero assoluto e il mistero relativo

Il mistero in generale è una realtà o un’asserzione dal contenuto intellegibile, che istruisce la nostra mente, così che ci è possibile  esprimere in concetti ciò che conosciamo, e tuttavia in questa conoscenza del mistero, ci accorgiamo che la nostra intelligenza giunge solo a un certo limite o a un certo punto, e che quindi nel mistero c’è dell’altro, e anche il di più, finito o infinito, cosmico, umano o divino, che ci è ignoto e che è la ragione o il motivo o il fondamento di ciò che sta davanti al nostro intelletto,  e che per la sua oscurità supera la nostra capacità di comprensione e ci resta ignoto. Del mistero sappiamo qualcosa e possiamo parlarne; ma non conosciamo tutto e sotto questo punto di vista è meglio tacere. Da qui la parola «mistero», che fa riferimento al tacere e al silenzio. 

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Non comprendiamo come si concili il fatto che la ragione ci dice che il mondo è finito e creato, eppure la ricerca scientifica ci mette davanti all’indefinitamente grande insieme con l’indefinitamente piccolo. Nel progredire del sapere abbiamo sempre davanti ad un tempo il comprensibile e l’incomprensibile, il noto e l’ignoto, una finitezza ed un’ulteriorità, il misurabile e il non calcolabile, il chiaro e l’oscuro, il determinato e l’indeterminato, l’effetto e non la causa. Cambiano gli oggetti, ma questo fenomeno gnoseologico si ripete sempre. 

Ad ogni cosa che diventa nota, ecco balzarne sempre fuori un’altra, nuova, che ci era ignota, e così senza fine. Le cose devono essere numericamente limitate, ma noi ne scopriamo sempre di nuove. Come si spiega questo? Forse si potrebbe rispondere dicendo che i mezzi del nostro sapere, nella loro limitatezza, sono sproporzionati rispetto all’immensità dell’universo e alla piccolezza dei corpi elementari. Questo è vero.

Ma la risposta non sembra del tutto soddisfacente ... La questione non è così semplice, perchè ognuno di noi, se riflette su come funziona il nostro sapere nei confronti delle cose, si accorge che le cose stesse sono fatte in modo che il nostro saperne non è capace di capirle totalmente o contarle fino alla fine.

Immagine da Internet:  "Copernico conversa con Dio", Jan Matejko (1872)

03 febbraio, 2025

Anima forma sostanziale del corpo - Intelligenza umana e intelligenza artificiale - Seconda parte (2/2)

 

Anima forma sostanziale del corpo

Intelligenza umana e intelligenza artificiale

 Seconda parte (/2)

L’anima appare dunque come soggettata nel corpo, benché sia il fondamento e il principio vitale del corpo. Tuttavia io dico: io ho un’anima, come se l’anima fosse nell’io, come se fosse in me, mentre propriamente parlando – andando anche qui contro il sentire o apparire comune - dovrei dire: io sono, sussisto, esisto in un’anima e in forza di un’anima, la mia anima. Il mio io profondo è alla radice del me che percepisco fisicamente nella mia autocoscienza.

Questo vuol dire che facciamo fatica a parlare della dignità dello spirito e ne parliamo in qualche modo materializzandolo, concependo l’anima come un corpo nucleare più piccolo all’interno del corpo materiale. Invece l’anima con le sue facoltà spirituali travalica infinitamente le dimensioni ristrette del nostro corpo, trascende lo spazio e il tempo, da essi astrae e attinge all’eterno, all’Assoluto, a Dio purissimo Spirito.

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Anima dice interiorità; corpo dice esteriorità. Per conoscere un’anima bisogna scrutare nell’intimo di una persona. Invece il nostro contatto superficiale con qualcuno è solo quello fisico. La mia anima me la sento come qualcosa di intimo, che io stesso non riesco a sondare a fondo. Il mio corpo è immediatamente presente ai miei sensi; lo vedo in qualche modo esterno a me stesso, nello spazio.

Il corpo certo non è come un vestito che copre l’anima, sicchè io potrei cambiare corpo come cambio un vestito, come credono i reincarnazionisti, no: ad ogni anima corrisponde quel dato corpo così come ad ogni vista corrisponde quel dato paio di occhiali o come le due metà di un sasso spezzato si corrispondono esattamente. E questo perché? Appunto perché corpo e anima formano quel dato individuo e non un altro.   

Rahner ha una concezione dell’unione dello spirito col corpo simile a quella di Teilhard. E notiamo inoltre che la metafisica idealista, per quanto da una parte dissolva la materia nell’essere pensato, dall’altra, apre la porta anche a una concezione materialistica del pensiero, se è vero che per lui il pensare s’identifica con l’essere e questi comprende anche l’essere materiale.

Del resto si nota in Rahner la stessa ripugnanza a concepire la stessa possibilità di un’anima separata, l’anima del defunto che continua a sussistere dopo la morte. E per sostenere l’impossibilità di una separazione dell’anima dal corpo non esita a contraddire al dogma dell’immortalità dell’anima sostenendo che con la morte l’uomo tutto muore e tutto risorge. In un momento di eccezionale fervore monistico arriva a dire che l’anima è il corpo allo stato liquido e il corpo è l’anima allo stato solido.

Immagine da Internet: Canova

02 febbraio, 2025

Anima forma sostanziale del corpo - Intelligenza umana e intelligenza artificiale - Prima parte (1/2)

 

Anima forma sostanziale del corpo

Intelligenza umana e intelligenza artificiale

 Prima parte (1/2)

 Un importante documento della Chiesa

In occasione della recente memoria liturgica di San Tommaso d’Aquino il Dicastero per la dottrina della fede congiuntamente al Dicastero per la cultura e l’educazione hanno pubblicato una Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana dal titolo Antiqua et nova, dove viene riproposta la dottrina dogmatica della Chiesa circa l’importantissimo tema del rapporto nell’uomo fra anima e corpo, un insegnamento essenziale per la salvezza, circa il quale purtroppo all’interno stesso della Chiesa si registra da molti decenni un doloroso conflitto fra due posizioni estremiste, entrambe eretiche, e cioè una tendenza idealista, che intendendo l’essere come coscienza, riduce la materia a spirito e una materialista, che considera lo spirito come il vertice dell’evoluzione della materia.

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E’ evidente che il Concilio suppone la dottrina della sostanza creata che può essere o composta di materia e forma, ed abbiamo la sostanza materiale o essere pura forma ed abbiamo il puro spirito. Il Concilio riconosce che la natura umana è composta di materia e forma, ossia di spirito e corpo, come aveva insegnato il Lateranense IV, ma precisa che l’anima è forma del corpo, cosa che il precedente Concilio non aveva detto.

Dunque da questi insegnamenti della Chiesa abbiamo che nella persona viva anima e corpo, spirito e materia formano certamente un’unica natura, un’unica sostanza, benché composta di due nature eterogenee ed enormemente differenti, come lo spirito e il corpo.

Qui per due nature non si intende la natura del tutto o della persona, ma due componenti naturali, che assieme formano l’unica natura umana composta di anima e corpo.

Propriamente parlando, anche se ciò non suona bene, non è l’anima ad essere nel corpo, come un contenuto nel contenitore, come l’acqua in un bicchiere, ma è il corpo che è nell’anima ed è contenuto nell’anima. Come la forma del fuoco dà forma al fuoco, così ciò che dà forma e vita al vivente, lo sostiene e lo sorregge, è l’anima, che è ciò per cui il vivente vive, ciò da cui è formato per vivere e da cui il vivente per vivere riceve vita.

Tuttavia il modo di esprimersi comune per cui l’anima è nel corpo ha una sua certa motivazione, in quanto è facile vedere l’anima come una forza intima e nascosta sotto il corpo, una forza intima che si manifesta all’esterno con le forme, i tratti e i movimenti del corpo.

 Immagine da Internet: Luca della Robbia, formella dell’Opera del Duomo di Firenze