“Cristologia e soteriologia” - P. Tomas Tyn - Prima Parte (1/2)

 

Cristologia e soteriologia”

Conferenza di Padre Tomas Tyn, OP

Presso Istituto Tincani - Bologna, 21 gennaio 1988

Prima Parte (1/2) 

 

Audio:   http://youtu.be/XswVeAaZJu0

Registrazione degli audio a cura di Amelia Monesi

Ci vediamo un’altra volta, ma per parlare questa volta di un tema si spera un po’ più facile, ma molto bello ed edificante e cioè di Gesù Salvatore. Abbiamo visto che bisogna iniziare col meditare su Gesù in chiave dogmatica, perché, sapete, il santo dogma è proprio nutrimento delle nostre meditazioni, dovrebbe almeno esserlo, vero, cari? Tanto è vero che appunto lo studio delle cose sacre e della stessa teologia, ovvero l’approfondimento razionale del mistero, serve e deve servire alla nostra preghiera, alla nostra vita orante.

San Tommaso sottolinea molto questo aspetto dello studio funzionale alla preghiera e sottolinea anzi la necessità di studiare per pregare bene perché spesso può succedere che se uno non studia e non precisa, potrebbe nelle sue preghiere anche essere un tantino ereticale. Allora vedete che bisogna invece adorare il Signore in spirito e verità, e perciò pensare a delle cose giuste riguardo a lui.

Ecco ora abbiamo visto che la cristologia, cioè la concezione dogmatica di Cristo, da come la Chiesa ce la propone è molto chiara, ma non è facile spiegarla. Poi possiamo dire che nei suoi contenuti particolari, ciò che la Chiesa ci insegna con l’autorità sua somma ed infallibile, mossa dallo Spirito Santo, è che il Cristo è vero Dio e vero uomo.

In fondo questo fatto è già stato adombrato nelle Sacre Scritture: vi ricordate in San Giovanni, proprio nel Prologo del suo Vangelo, dove c’è quella meravigliosa constatazione “Et Verbum caro factum est”? Il Verbo del quale si descrive all’inizio la preesistenza presso il Padre ovvero presso Dio, la consustanzialità con Dio, il Verbo che è vero Dio, ebbene, questo Verbo assume la nostra carne umana e anzi assume tutta la nostra umanità.

 Vedete che il Verbo si fa uomo, e allora Cristo è il Verbo, quindi Dio come è Dio il Padre e lo Spirito Santo, consustanziale al Padre e allo Spirito, ma nel contempo il Cristo è anche vero uomo. Vedete la difficoltà e anche la grandezza della cristologia, vedete che spesso le cose grandi sono anche le più difficili da spiegare.

Ebbene, la grandezza e la difficoltà della cristologia consiste nel mettere d’accordo, per così dire, non in sè, perché in sè queste due realtà vanno perfettamente d’accordo, ma per noi, per il nostro intelletto umano, questo fatto che Dio increato assume sostanzialmente, non solo così accidentalmente, la nostra umanità. Perchè dico sostanzialmente? Perché abbiamo visto che Nestorio dice che sì, c’è questa unità, ma è solo accidentale, Dio, cioè il Verbo si compiace di quell’uomo buono, di quella buona persona umana che è Gesù.

Ma già dire “persona umana” è un’eresia, vero, miei cari, vi ricordate? Proprio perché Gesù è una Persona divina, non può essere una persona umana. Quindi, Nestorio appunto sbaglia in questa sua dottrina. Così similmente sbagliano i monofisiti con l’errore opposto, quando dicono invece che in Cristo c’è sì e divinità e umanità, però sono così strettamente legate tra loro, da causare una mescolanza nella stessa natura di Cristo, così che ci sarebbe una sola natura secondo loro e anche questo è errato.

Quindi il dogma cattolico ci dice: il Cristo è vero Dio consustanziale al Padre, contrastando con questo l’arianesimo, il quale invece insegna che il Cristo, anche come Verbo, è una creatura; ma questo è un nefas, è qualcosa da non dire e neanche da pensare. Il Cristo è consustanziale, omousios to Patrì, è consustanziale con il Padre, vero Dio e nel contempo vero uomo, unità tra uomo e Dio in maniera tale che entrambe le nature siano perfette, cioè rispettate nella loro pienezza: neppure la natura umana può essere mutilata.

Ci fu questo tentativo di Apollinare di Laodicea di mutilare l’umanità per consentire un aggancio che fondasse l’unità. E invece si deve dire che entrambe le nature sono perfettamente tali, senza mescolarsi o mutilarsi o limitarsi in qualche modo a vicenda. Pienezza di natura e divina e umana, nel contempo unità di persona: non c’è persona umana, ma c’è solamente Persona divina. Vi ricordate, miei cari?  Voi siete proprio di una pazienza eroica! Mi ricordo infatti che l’altra volta vi feci tribolare molto. Anch’io tribolo, quando ci penso, perché non è cosa facile per l’umano intelletto. Bisogna rimeditarla sempre. Ogni volta che ne parlo, pensandola e ripensandola, si scopre sempre qualche cosa di nuovo.

O meglio la verità diventa sempre più nostra. Vedete, è molto bello questo perché la verità, in fondo, noi non la estraiamo dal di dentro, dall’anima, ma la verità è al di sopra di noi, vero, cari? E allora si tratta in qualche modo di avvicinarsi ad essa e più ci pensiamo, più ci avviciniamo a quella benedetta verità, che è ben al disopra di noi e comune a tutti noi.

Ecco, allora, la volta scorsa, forse già qualche cosa avete intravveduto, è molto difficile questo, provai a spiegarvi che in fondo il problema cristologico in fondo implica una difficoltà metafisica, cioè una difficoltà dell’analisi dell’essere, dell’ente, di ciò che è, vedete, dell’esistente.

Qual è questa difficoltà? È la difficoltà di poter discernere, cioè di poter distinguere la persona, ovvero la sostanza, perché vi ricordo la definizione boeziana della persona: la persona è una sostanza di natura razionale. Quindi la persona rientra nel campo delle sostanze, solo che non ogni sostanza è persona. Vi dissi che una pianta è una sostanza, ma non certo una persona; un angelo è sostanza e persona. Perchè? Perchè l’angelo è sussistente, quindi è sostanza, ma nel contempo ha una natura intellettuale, razionale, anzi supernazionale. Ecco, quindi l’uomo, l’angelo e Dio sono persone. Le piante, animali, pietre non sono persone benchè siano sostanze. Vedete, allora si tratta di vedere questo: come in Cristo c’è la natura umana individuale, questo uomo Gesù.  Vedete, il Verbo non ha assunto l’umanità in astratto, capite, la natura platonica dell’umanità, l’idea platonica dell’uomo, no, ha assunto questo uomo concreto, quest’uomo Gesù, in concreto, individuo.

Però nel contempo, non ne ha assunto la persona umana, chè questa è l’eresia di Nestorio. Vedete, quindi, che tutta la cristologia al suo vertice si riduce a questa difficoltà: potere, in qualche modo, distinguere realmente la sostanza dalla natura individua.

Vedete, cioè, che bisogna poter concepire una natura individua, però priva di un supposito proprio, priva di una sostanza[1] propria. Abbiamo detto, ve ne accennai un pochino, pensateci spesso a queste due linee di terminazione: una che è individuante e l’altra che invece è supposizionale, si dice, non sostanziale[2]. Vedete, si tratta di una terminazione, di una incomunicabilità di tipo diverso: una si colloca sul piano della natura, dell’essenza, di ciò per mezzo di cui una cosa è ciò che è. Quindi l’umanità è individua quando l’umanità si realizza in Tizio, Caio o Sempronio. Vedete, quindi, che l’individualità concerne l’essenza; invece la supposizionalità, cioè, appunto, il soggetto, la sostanza, concerne l’essere e le proprietà di una determinata sostanza.

Per esempio, affinchè l’uomo esista, dev’essere già persona, sostanza costituita, non basta che sia solo individuo, bisogna, appunto che abbia anche la disposizione a ricevere ciò che oltrepassa la sua essenza, ovvero l’essere e tutte le proprietà conseguenti. Vedete, insomma, se volete, che la distinzione tra individuo e sostanza corrisponde in qualche modo alla distinzione tra essenza e essere. Cioè l’essere è irriducibile all’essenza; l’essere[3] è comune a tutte le essenze, quindi è trascendente, è al di là delle essenze. Vedete, tutti noi siamo[4], benchè la nostra essenza individuale sia diversa nell’uno e nell’altro.

E poi non esistono solo gli uomini, ma esistono anche, non so, tanti oggetti inanimati e via dicendo. Vedete quindi che esistono tante cose, tutte queste cose sono distinte quanto all’essenza, ma sono però accomunate nel fatto di esistere. Vedete come l’esistere è al di là dell’essenza. Ora, l’individuo è ciò che determina l’essenza; mentre il supposito o la sostanza è ciò che dispone l’essenza così terminata a ricevere l’essere, che è al di là dell’essenza. Ecco, adesso con questo, terminiamo così perché è cosa difficilissima: basta solo proporla così, come oggetto di meditazione.

Adesso invece, partendo dalla seguente affermazione cristologica: Cristo vero Dio e vero uomo, cioè unità di persona divina e dualità reale di nature complete ciascuna nel suo ordine, cioè di natura, appunto, divina e umana, proviamo ad accennare alla funzione di Cristo in quanto Salvatore.

Gesù è venuto a salvare l’umanità, Iddio si è compiaciuto di salvare l’uomo, gli ha dato un Salvatore, un Messia; Messia che vuol dire appunto in ebraico Unto del Signore. “Lo Spirito del Signore è su di me, dice appunto il Messia per bocca del profeta Isaia, lo Spirito del Signore è su di me, Egli mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare la buona novella ai poveri”, ossia a coloro che sono di animo umile, aperto a Dio, coloro che sono in grado di percepire la Parola del Signore. Guardate che dalla parte dell’uomo si richiede proprio questa disponibilità all’ascolto, potremo dire. Se l’uomo è pieno di sé, come avviene nella superbia, non può essere salvato. Dobbiamo in qualche modo svuotarci di noi stessi, affinché Iddio possa irrompere nella nostra anima.

Vedete, perciò, che il Signore è mandato ad annunciare la Buona Notizia ai poveri, a coloro che sanno di aver bisogno di salvezza. È terribile, è tragico sapete, il Santo Vangelo, se voi lo leggete anche tra le righe, perché non lo dice sempre esplicitamente, vedete, è una tragedia spaventosa vedere proprio che la salvezza del mondo è presente lì in mezzo agli uomini e solo in minima parte coloro che erano depositari della salvezza l’accolgono; e questi erano l’Israele di Dio, il Popolo prediletto dal Signore, il Popolo al quale Egli fece tutto quello che poteva fare, la vigna coltivata da Dio: “Che cosa dovevo ancora farti e non ti ho fatto?”, “In che cosa ti ho amareggiato o ti danneggiato, perché tu abbia crocifisso il tuo Salvatore?”: pensate proprio a queste domande liturgiche che si fanno appunto il Venerdì Santo.

Vedete, il Signore ha fatto di tutto per favorire il suo popolo e non solo gli ha dato, appunto, i suoi servi, cioè i profeti, ma nella pienezza dei tempi ha mandato addirittura il Figlio suo unigenito. Ebbene, pensate che hanno rifiutato e maltrattato non solo i profeti, ma persino il Figlio unigenito di Dio, vedete miei cari? Questo è il dolore, cioè vedere proprio la salvezza del mondo in mezzo al suo popolo, in mezzo al mondo intero e vedere proprio coloro per la cui salvezza Gesù è venuto, rifiutarlo, vedete, rifiutarlo!

Sia nel popolo eletto dell’antica Alleanza sia, ahimè, anche in tutti gli altri popoli della terra, si riproduce lo stesso fenomeno: c’è chi accetta Gesù e c’è chi lo rifiuta e questo dramma, del rifiuto della salvezza lo viviamo in maniera estremamente acuta proprio in questi tempi che, non nascondiamocelo, sono tempi estremamente difficili, vedete, di una apostasia, spesso latente, ma molto, molto reale.

Ora, miei cari, con l’amore di Dio che si è manifestato in Gesù, dobbiamo amare le anime, cioè condurre le anime a Gesù e dire alle anime la verità di Gesù, cioè che non c’è salvezza se non in lui. Vedete il Signore si è compiaciuto di mandarci il Salvatore, ma il Salvatore è lui e solo lui, non ce ne sono altri, vedete: come Dio è uno solo, così il Salvatore è uno solo. La grande tentazione dell’epoca materna è quella di crearci dei salvatori per conto nostro, quindi è la chiusura al Vangelo, la superbia, vedete la ricchezza, per così dire l’opulenza, ma non quella materiale, ma quella interiore, che è la peggiore: avere un cuore indurito e incirconciso, come dicono i profeti.

Invece bisogna proprio per accogliere il messaggio di Gesù, che è messaggio di salvezza, umiliarci davanti a lui e avere come dicono le beatitudini fame e sete della giustizia. Solo chi sa di essere peccatore e quindi di essere bisognoso della salvezza, può comprendere il discorso di Cristo Salvatore.

Perché Gesù fu rifiutato dai farisei? Per il semplice motivo che loro dicevano: “Non sappiamo che cosa farcene di te, sei inutile, sei superfluo, perché noi siamo giusti,  siamo buoni, abbiamo Abramo per padre e abbiamo la legge che noi perfettamente adempiamo, che cosa vuoi di più, noi siamo salvati, non abbiamo bisogno di te”.

E così, in diversi modi, l’uomo tuttora rifiuta la salvezza in Cristo perché pensa di poter salvare se stesso. È un profondo errore. Vedete, miei cari, come dobbiamo spiritualmente coltivare il senso di Dio, il senso del peccato e quindi il senso della salvezza. Ci sono queste tre realtà che si connettono perfettamente l’una con l’altra, il senso di Dio: capire che c’è un Dio al disopra di noi, che noi siamo creature, che noi non apparteniamo a noi stessi, che abbiamo ricevuto l’essere e non l’abbiamo da noi, nemmeno dai nostri genitori, ma abbiamo ricevuto l’essere in ultima analisi da un Dio che è appunto il Creatore di tutte le cose, che è sovrano sopra ogni cosa.

Quindi riconoscere la nostra limitatezza di creature, non solo, ma anche riconoscere il nostro peccato, riconoscere che noi non realizziamo quella perfezione che il Padre Buono ha assegnato a noi come il dovere, come il compito fondamentale, la perfezione morale, la perfezione etica, ossia vivere, come dice il Santo Padre, secondo la verità dell’uomo. Noi non siamo più in grado di vivere secondo la verità dell’uomo, anzi pecchiamo, anche il giusto, dice la Scrittura, pecca sette volte al giorno, pensate: sette volte! E per gli Ebrei vuol dire molte volte. 

Ecco, non è detto che sempre si facciano peccatacci, quelli propriamente mortali; per fortuna sono peccati rari, capitemi bene, non vorrei suscitare in voi degli scrupoli, miei cari. Ecco, tuttavia, vedete, una coscienza delicata sa distinguere tra peccato grave e peccato veniale.  Ebbene, facendo ogni giorno un po’ d’esame di coscienza, troviamo i peccati veniali, constatiamo che siamo portati, inclini al male, magari non saranno cose, terrificanti, delitti, crimini ecc., però anche nelle piccole cose non siamo sempre fedeli e buoni, e talvolta succede che non lo siamo neppure nelle grandi.

Quindi siamo peccatori, inclini al male e bisogna riconoscerci come tali. Invece succede che spesso l’uomo contemporaneo parla come lo stolto, che dice appunto che cosa mai ho fatto peccando? Non ho fatto niente, è cosa normale, ovvia, capite. Abituarsi al peccato che cosa vuol dire? Negare Dio. Vedete, ci sono degli atei pratici che negano Dio con la condotta della loro vita non tanto per il fatto che peccano, questo tutti lo facciamo, ma per il fatto che non considerano più il peccato come tale e quindi cadono nel grande peccato, il peccato dell’orgoglio, cioè il porre in se stessi la misura del bene e del male e trovarsi, così come dice Nietzsche, al di là del bene e del male.

Ecco, allora, occorre il senso del peccato, per avere il senso della salvezza: chi si sente peccatore, sente la bontà di Dio nel nostro Signore Gesù Cristo, si attacca a Gesù, viene a Gesù e Gesù lo ristora, Gesù lo salva. Non con una salvezza facile, come spesso il mondo se la immagina: Gesù mi farà stare bene, mi farà, mi darà questo quest’altro; sì, il buon Dio provvede anche a questo, perché il Padre Nostro che è nei cieli sa che ne abbiamo bisogno, ma soprattutto ristora la nostra anima per l’eternità, miei cari, questo è importante.

Badiamo allora all’unum necessarium, all’unica cosa necessaria, a vivere in pace con Dio, anzi ad avere Dio nostro amico, ad avere Dio dentro di noi, la Trinità Santissima inabitante nelle nostre anime. Vedete, questo lo possiamo avere solo tramite Gesù, per mezzo di lui. Ecco, miei cari, allora sapete che il Vangelo riassume proprio bene questa mentalità dell’uomo, che si avvicina a Gesù: è la mentalità di umiltà e di penitenza, riconoscendosi peccatori. C’è più gioia in cielo per un solo peccatore che si converte piuttosto che per 99 giusti che non l’hanno, cioè pensano di non aver bisogno del perdono.

Ed è bellissimo, questo ci manifesta l’essenza del Vangelo dalla parte di Dio: c’è gioia in cielo, cioè Dio stesso gioisce in maniera misteriosa, perché è difficile sapere esattamente che cosa è la gioia di Dio, in quanto essa è eterna ed immutabile.  Però il Signore si rallegra, gioisce assieme agli angeli e ai santi suoi, proprio quando un peccatore fa penitenza, quando si avvicina di nuovo a Dio tramite il suo Cristo.

Vedete com’è essenziale questo? Non c’è altro Salvatore se non Gesù. Bisogna quindi inculcare nelle anime anzitutto il senso di Dio, il senso del proprio peccato, l’umiltà e perciò lo spirito di penitenza, il desiderio della salvezza, la fede in Gesù Salvatore.

Allora perché Gesù e solo Gesù è Salvatore? Che cosa significa salvezza? Anzitutto la salvezza, miei cari, è un’opera dell’infinita e sconfinata misericordia del Signore, gratuita misericordia del Signore. Vedete, noi veramente, bisogna che ce ne rendiamo conto, sapete, noi siamo davvero influenzati dalla mentalità odierna anche noi che non vogliamo esserlo: ecco, io mi agito spesso perché voglio difendere l’anima mia da certi pericoli che tendono così a farla cadere. Ecco, vedete perché noi abbiamo un po’ la mentalità che il perdono ci è dovuto: come! - diciamo - Dio se ci ha creati, ci deve redimere! No, non ci deve affatto redimere. Vedete, bisogna pensarla come Agostino, lo so che è terrificante per l’uomo di oggi, ma ha ragione Sant’Agostino e non l’uomo d’oggi, ve lo assicuro davvero. Vedete, Sant’Agostino dice che la situazione dell’uomo, all’infuori di Cristo, dopo il peccato, è la situazione di uno che appartiene alla massa damnationis, cioè tutti, tutta l’umanità col peccato originale è diventata una massa, è interessante la parola “massa, cioè non populus, cioè non un qualcosa di ordinato, ma un insieme caotico, una massa avviata per la larga strada della perdizione.

Ora il Signore non era per nulla tenuto a perdonarci, per nulla! Noi abbiamo peccato in Adamo, tutti siamo responsabili, tutti abbiamo peccato, tutti. E notate bene la gravità metafisica di questo peccato: anche qui l’uomo di oggi è estremamente superficiale, dice: come! Io non ho peccato, è stato lui, Adamo! Un po’ come Adamo stesso dice: no, non sono stato io, è stata lei, Eva, la quale a sua volta dice: è stato il serpente, e qui c’è, come dire, uno scarico delle responsabilità.

Invece, metafisicamente parlando, Adamo siamo tutti noi: in lui tutti noi abbiamo peccato; in lui tutti nasciamo peccatori, miei cari. Allora bisogna in qualche modo meditare su questo stato nostro di peccatori, di nemici di Dio. Ora dice giustamente l’amico San Tommaso: “Peccatori non debetur vita sed mors”: al peccatore non è dovuta la vita ma la morte e addirittura la morte eterna.

Allora l’uomo lontano da Dio è perciò lontano perfino da sé, infelice: c’è poco da fare, se non si ha Dio nell’anima non si può essere nella gioia; ci possono essere tanti surrogati della gioia, ma non la gioia vera, e al contrario, se si ha Dio nell’anima, si può tribolare, ma si è sempre contenti; questo è il paradosso del cristianesimo, come diceva Paolo VI: cristianesimo difficile, ma sempre felice.

Allora i miei cari, vedete, è questo che bisogna in qualche modo capire: che l’opera della Redenzione, l’opera della salvezza non è per nulla dovuta all’uomo. Iddio, quando ci redime, non ci dà un qualcosa di dovuto a noi; Iddio agisce al di là del dovuto. Ora agire al di là del dovuto, beneficare al di là del dovuto, significa usare misericordia. Vedete, nelle vicende umane c’è proprio questa dualità molto importante di giustizia e misericordia: la giustizia è facile definirla, la giustizia è la ferma e costante volontà di dare a ciascuno il suo, cioè ius suum unicuique tribuendi, ossia di dare a ciascuno secondo il suo diritto, ciò che gli spetta.

Fine Prima Parte (1/2)

Padre Tomas Tyn, OP

Trascrizione da registrazione di Sr. M. Colombo, OP, e Sr. M. Nicoletti, OP – Bologna, 2007

Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 2008

Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP



[1] Nota del Redattore: meglio: sussistenza.

[2] Nota del Redattore: il supposito è la sostanza sussistente.

[3] Nota del Redattore: meglio: l’esistere, come fatto d’essere (esse in actu); l’essere, propriamente, come esse ut actus o actus essendi, varia da essenza ad essenza, perché ogni essenza ha il suo essere, in quanto essa determina l’essere ad essere quel dato essere che corrisponde a quella data essenza. Ciò comunque non impedisce all’essere di trascendere l’essenza, perché l’essere sta all’essenza come l’atto sta alla potenza.

[4] Nota del Redattore: meglio: esistiamo.

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