Lezioni di Padre Tomas Tyn sulla grazia
Parte 1/14
La recente Nota del Dicastero per la Dottrina della Fede, Mater Populi Fidelis, ha dato occasione tra l’altro ad una discussione concernente la grazia della corredenzione e in particolare la grazia eminentissima ricevuta da Maria nel compimento dell’altissima missione che Dio le ha affidato in collaborazione con Cristo per la salvezza dell’umanità.
Ho pensato allora di poter rendere un utile servizio pubblicare alcune lezioni di P. Tomas Tyn sulla grazia, il Corso di 14 Lezioni, considerando la grande sapienza con la quale ne ha trattato alla scuola del Dottore Angelico.
Aggiungo altre trattazioni sulla grazia, redatte da me e da Padre Alberto Galli, sempre nell’intento di offrire materiale abbondante concernente questo tema fondamentale della fede cristiana.
P. Giovanni Cavalcoli, OP
Fontanellato, 18 dicembre 2025
Testi sulla grazia:
P. Giovanni Cavalcoli, O.P.
Corso di Licenza in Teologia, Bologna, 2001-2002, pp.101
Dinamismo della grazia nell'esperienza mistica
https://www.arpato.org/testi/studi/Cavalcoli_Mistica_2001-02.pdf
P. Giovanni Cavalcoli, OP
Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna - Corso ISSR 2008/2009
QUESTIONI SULLA GRAZIA
https://www.arpato.org/testi/studi/Cavalcoli_Corso_sulla_grazia_2008.pdf
P. Alberto Galli, O.P.
Numero unico di Sacra Doctrina, nn.3-4, mag.-ago.1987
Il trattato teologico della grazia in san Tommaso e nella storia,
https://www.arpato.org/testi/studi/Galli_Grazia/Galli-1-grazia.pdf
https://www.arpato.org/testi/studi/Galli_Grazia/Galli-2-grazia.pdf
https://www.arpato.org/testi/studi/Galli_Grazia/Galli-3-grazia.pdf
https://www.arpato.org/testi/studi/Galli_Grazia/Galli-4-grazia.pdf
https://www.arpato.org/testi/studi/Galli_Grazia/Galli-5-grazia.pdf
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P. Tomas Tyn, OP
Corso sulla Grazia
AA.1987-1988 - Lezione n. 1 (Prima e Seconda parte)
Bologna, 13 ottobre 1987
- Audio:
http://www.youtube.com/watch?v=BrEccwJcblw (A)
http://www.youtube.com/watch?v=NrHBf8t7k98 (B)
- Dispensa:
http://www.arpato.org/testi/dispense/Grazia_1-150.pdf
- Testo completo:
https://www.arpato.org/lezioni_grazia.htm
... Questo tema della grazia ha una grandissima importanza dal punto di vista teorico, cioè la teoria teologica. Direi che, abusando un po’ di un detto di Lutero, che l’articolo della giustificazione è quel tema teologico sul quale si appoggia la Chiesa in maniera tale che con esso la Chiesa sta o cade. Lutero diceva appunto che la giustificazione, articulus de iustificatione est articulus stantis et cadentis Ecclesiae.
Si potrebbe dire che appunto il tema della grazia è un articulus stantis et cadentis theologiae. Io sono un po’ prevenuto a tal riguardo, perché effettivamente mi sono molto concentrato su questo trattato De Gratia e questo per interesse direi squisitamente teologico, anche se mi fu detto che sono interessi un po’ obsoleti al giorno di oggi. Ma, per quanto mi risulta, il buon Dio non cambia facilmente parere a tal riguardo e quindi tuttora la grazia santificante mi pare che abbia una qualche importanza. E non ha perso neanche il suo, diciamo così, fascino teologico. Perché? Perché si tratta, vedete, tanto per premettere già, diciamo così, ciò che dovrà costituire l’oggetto principale delle nostre sollecitudini di questo semestre, la grazia è nientemeno che una participatio divinae naturae.
Non si può riassumerla meglio che con queste parole: la grazia santificante è la partecipazione della divina natura. E così voi capite che in sostanza il tema della grazia ripropone direi il fondamento stesso della teologia, cioè il mistero della divinità. Voi sapete bene che l’oggetto formale della teologia è Dio nel suo mistero, Dio nella sua essenza recondita, nascosta all’intelletto umano. C’è qualche cosa che l’intelligenza umana può fortunatamente conoscere di Dio, è la sua esistenza, sono i suoi attributi fondamentali.
Ci sono poi degli attributi che sono legati alla divina essenza e che sfuggono all’intelletto umano. Pensate al mistero della Trinità Santissima. E sono quelle proprietà che solo Dio ci può far conoscere tramite la sua rivelazione. Ebbene, la grazia è la partecipazione di Dio nell’ordine ovviamente soprannaturale, la partecipazione della stessa essenza trinitaria di Dio, l’essenza sussistente dei tre suppositi, delle tre ipostasi relazionalmente distinte ma identiche quanto alla sussistenza stessa del Padre, Figlio e Spirito Santo. E’ un tema molto affascinante riguardo alla Grazia anche quello di vedere come questa participatio divinae naturae è una participatio trinitaria in anima iusta, cioè quell’anima del giusto, del giustificato che si riveste per partecipazione della stessa vita trinitaria di Dio.
Dicevo appunto che è quindi un tema squisitamente teologico, perché ci propone il mistero di Dio. Ma non solo ce lo propone in sé. Così, i grandi temi dogmatici ovviamente prevalgono, come quello appunto della Trinità e quello dell’Incarnazione, ma ci propone addirittura il mistero della Trinità in sé, e come poi questo mistero viene comunicato, partecipato all’uomo. Vedete come è importante anche la filosofia della partecipazione per afferrare il mistero della divina grazia.
Non sarà cosa facile spiegarlo, lo tratteremo poi solo col tempo, ma sarà uno dei problemi fondamentali di questo trattato: e cioè concepire l’essenza, la pienezza di essere, l’ipse actus essendi, direbbe San Tommaso, questo actus purus, l’atto puro di essere che è Dio, sommamente sussistente, in virtù della pienezza del suo essere. Come è possibile questa massima e infinita sussistenza, quindi infinita incomunicabilità, perché voi cari filosofi, virtualmente teologi formalmente, intuite già che la somma sussistenza è anche la somma incomunicabilità.
Ebbene, la difficoltà del nostro trattato sarà proprio questa: concepire Dio, sommamente incomunicabile, come comunicantesi per partecipazione all’uomo. Vedete quindi qual è, diciamo così, il nocciolo della questione. La grazia è una comunicazione di Dio sommamente sussistente nel suo mistero trinitario, comunicazione di questo Dio all’anima umana, oltre che ovviamente alle essenze angeliche, perché anche gli angeli possiedono la grazia. Solo che di questi ne sappiamo ben meno. Diciamo che noi ne sappiamo ben poco rispetto a Dio, tanto meno delle sostanze separate. …
Vedete la completa gratuità nell’elargire la grazia. Il Signore dà la grazia a chi vuole. E questo lo sottolineerà soprattutto la nostra scuola tomistica, che dirà appunto che la distinzione tra buoni e cattivi non dipende dai meriti dell’uomo, ma dalla predilezione divina.
E’ un grande mistero questo. Si connette con il mistero appunto della predestinazione. Ma ovviamente poi negli effetti la predestinazione dice la destinatio, questa transmissio in finem supernaturalem[1], questa trasmissione dell’uomo verso il fine soprannaturale comporta ovviamente la grazia, con la quale Dio soprannaturalmente muove l’uomo al conseguimento di tale fine. Ora, vedete, la gratuità della grazia significa che Dio, proprio Lui stesso decide sull’efficacia della sua grazia nell’uomo. ….
San Tommaso sottolineerà nella q.114, che studieremo appunto a suo tempo, il fatto che il merito è tutto fondato su di una praeordinatio Dei. Cioè Dio ordina in qualche modo l’atto umano a un premio soprannaturale, che eccede infinitamente la scarsa misura dell’atto umano. Ora, in qualche modo si potrebbe dire che tra merito e premio c’è sempre un rapporto di giustizia. Non è possibile meritare, se il premio non è dovuto a chi merita.
Però, questa stessa giustizia si instaura tra Dio e l’uomo, per cui Dio decide di darci Egli stesso la paga, insomma, il premio della vita eterna, che non è una cosa da poco. Così il buon Dio decide di darci il premio della vita eterna in base ai nostri atti umani. Ma questo stesso rapportare la povertà del nostro atto umano al premio della vita eterna, cioè stabilire questo rapporto di giustizia tra l’opera umana buona e la vita eterna, è ancora un hesed, è una grazia divina. …
L’oggetto della fede è di essere salvati tramite la grazia di Gesù. Lì c’è la teologia paolina: non tramite le opere umane, ma tramite la grazia, dove grazia effettivamente significa, senza escludere il significato del dono, la stessa salvezza in quanto gratuita.
La stessa salvezza è il dono della grazia, ma della grazia con la connotazione del non dovuto. Quindi praticamente la fede del cristiano è quella di essere salvato, ma di essere salvato non per opere sue, bensì per la grazia di Cristo. …
Vedremo poi con San Tommaso come la dikaiosyne della giustificazione, cioè il termine di questa conversione dell’uomo, che è la giustizia, non sia la virtù morale della giustizia, ma appunto la santità. Qui la giustizia è sinonimo di santità. E ovviamente la santità, per usare il termine scolastico, è formalmente costituita dalla grazia santificante. …
c’è una grazia di Dio che può essere vana e c’è una grazia di Dio che invece ha raggiunto il suo effetto. La grazia che raggiunge l’effetto, che non è vana, è la grazia efficace. La grazia che invece non raggiunge l’effetto, è la grazia sufficiente.
E infatti questo è molto, molto importante, perché altrimenti, se Dio non avesse dato una grazia inefficace, sufficiente, al peccatore, il peccatore avrebbe buon gioco nel dire che allora il suo peccato non deriva dal suo venir meno, ma da bensì dalla mancata assistenza divina[2]. Quindi San Paolo allude in alcuni testi appunto a questa grazia, che può essere persa, mentre altre grazie immancabilmente producono il loro effetto. E vedremo che il problema della distinzione delle due grazie, cioè quella sufficiente e quella efficace, sarà quello in sostanza dell’origine dell’efficacia della grazia, da dove la grazia efficace trae la sua efficacia. E’ ovviamente la soluzione tomista che potrà molto rifarsi a San Paolo. Essa dirà che effettivamente l’efficacia della grazia non deriva dal consenso umano, ma bensì ancora dalla volontà divina. Questo non lo dico solo per la predilezione della nostra scuola, ma proprio perché è così. Quindi è Dio che in qualche modo rende la grazia efficace. Invece, quando la grazia diventa inefficace non è colpa di Dio, ma dell’uomo che viene meno.
La grazia infine rimette i peccati e porta ad ogni opera buona. …
Voi sapete che la tesi di San Tommaso sarà appunto quella che Dio avrebbe potuto creare l’uomo senza la grazia, ma di fatto Dio ha creato l’uomo in grazia. Ora, Sant’Ireneo, riguardo alla creazione dell’uomo, distingue un duplice aspetto, che è molto interessante, perché si rifà a questa distinzione fondamentale, che è molto cara alla scuola tomistica. È un po’ meno cara alla teologia moderna. Ma in ogni modo, c’è questa distinzione che mi pare fondamentale proprio per mettere in risalto la gratuità della grazia.
Abbiamo ben visto come San Paolo ci tiene. Per far risaltare la gratuità della grazia, bisogna far vedere come l’ordine della grazia, cioè l’ordine soprannaturale, non è dovuto all’ordine naturale, ovvero non è un’esigenza dell’ordine naturale. Non fa parte dell’ordine naturale e non è nemmeno un’esigenza. Il che ovviamente causerà notevoli domande rispetto allo stesso desiderio naturale di vedere l’essenza di Dio, ma questo lo vedremo in seguito. …
La santificazione presuppone la creazione. Nella creazione infatti Dio comunica all’uomo l’essere, che è l’essere dell’uomo, causato da Dio, ma è dell’uomo. Nel contempo, l’uomo ha quel privilegio di avere un essere anche formalmente simile a Dio, perché egli è natura razionale. Però, la stessa razionalità che Dio comunica con l’essere all’uomo, non è la razionalità di Dio, ma è qualcosa di simile alla razionalità di Dio.
Mentre la partecipazione della grazia non è più conferire all’uomo l’essere dell’uomo, ma è conferire all’uomo, fatto terribile a pronunciarsi, l’essere di Dio. È questo che è tremendo. Cioè con la grazia noi abbiamo qualcosa in più del nostro essere, che abbiamo già ricevuto nella creazione, veniamo ulteriormente rivestiti di un essere che non è nostro, ma che è, strettamente parlando, di Dio. Ecco la similitudo di Sant’Ireneo. Ecco, miei cari. Questo per Sant’Ireneo.
Tertulliano. Anch’egli distingue accuratamente la natura e la grazia. Quindi anche in lui la distinzione è ben affermata e sottolinea un altro punto importante e cioè la dipendenza dello stesso uso del libero arbitrio dalla grazia. Lo stesso consenso dell’uomo alla grazia, lo stesso buon uso che facciamo della grazia, è ancora effetto della grazia. E questo è un tema, diciamo, antipelagiano ante litteram.
Voi sapete che Pelagio poi dirà appunto che in fondo l’uomo si merita la grazia, l’uomo è buono per conto suo e siccome è buono, il Signore gli darà anche la sua grazia, come una specie di ornamento, che completa questo cammino di santità. Invece, secondo Tertulliano, c’è già questa teologia, che poi riscontreremo molto fortemente in Sant’Agostino, e cioè che lo stesso buon uso del libero arbitrio è ancora effetto della grazia di Dio sull’uomo. …
Il grande Dottore per eccellenza della grazia è ovviamente Aurelio Agostino, Aurelius Augustinus per dirla in latino. Sant’Agostino sottolinea soprattutto la necessità al di là della legge, e questo San Tommaso pure poi lo adotterà per dividere anche la stessa struttura della Summa. Cioè Sant’Agostino sosterrà che è necessario che Dio guidi l’uomo, non solo tramite la legge, ma anche tramite la grazia.
È interessante. C’è questo binomio: legge e grazia. Notate che proprio nella struttura della Summa, San Tommaso ammette due principi di morale esterni. E vedremo poi perchè la grazia pure è esterna: due principi esterni della morale, e cioè la legge e la grazia. Dio che istruisce l’uomo tramite la legge, è la propositio obiecti, cioè Dio illumina l’intelligenza tramite la legge.
Ma poi ex parte subiecti c’è la mozione della grazia: Dio muove, Dio che muove il soggetto umano ovviamente a praticare la legge tramite appunto questa mozione soprannaturale, che è la grazia. Ora, Sant’Agostino sottolinea che non hanno ragione i pelagiani a dire che basta sapere ciò che è da farsi. Cioè, per esempio, non basta istruirci sul Decalogo; per praticare il Decalogo ci vuole ben altro. Cioè ci vuole un aiuto intrinseco. …
Ecco, miei cari. Sant’Agostino insisterà su questo, cioè non basta semplicemente conoscere le norme della Legge, bisogna però, per operare, per agire avere anche l’aiuto intrinseco della grazia.
Il merito stesso è effetto esclusivamente della grazia. Sant’Agostino sottolinea anche questo: non c’è merito antecedentemente alla grazia. La grazia non è oggetto di merito, ma ne è il principio. Qui sta quella che sarà poi la grande teologia cattolica rispetto al merito. Cioè con la grazia si merita, però la stessa grazia, che è principio di merito, non può essere meritata. Può essere meritata la cosiddetta seconda grazia, ovvero la crescita, l’aumento della grazia. Non può essere meritata la prima grazia e nemmeno la grazia finale. Pensate.
Infatti, la grazia finale è pure principio di quel termine che è la ricompensa eterna, e in quanto si pone dalla parte del principio non può essere meritata. …
Sant’Agostino sottolinea molto questo fatto che la grazia, come principio del merito, non può essere meritata, ma a sua volta porta al merito, cioè porta ad elevare le azioni umane in maniera tale che siano in qualche modo adeguate al premio della vita eterna. La grazia, e questo sarà il tema agostiniano fondamentale che non abbandonerà mai più la teologia, pur essendo gratuita, cioè venendo da Dio, e non potendo essere quindi meritata, pur venendo da Dio ed esprimendo una vera e propria causalità divina nei riguardi dell’uomo, non distrugge però il libero arbitrio. …
La grazia abituale, secondo Sant’Agostino, cancella il peccato, quindi riscatta dal peccato, riconcilia con Dio; anzitutto è una remissio peccatorum. Anche San Tommaso insisterà molto su questo punto, che la giustificazione è anzitutto una remissio peccatorum. Poi la grazia, secondo Sant’Agostino, inerisce all’uomo. E’ un punto molto importante, perché sarà negato appunto da Lutero, il quale per altro verso segue abbastanza volentieri Sant’Agostino.
Quindi la grazia inerisce all’uomo, dà appunto all’uomo lo stato di figliolanza divina, consiste in una divinizzazione partecipata. Quindi anche Sant’Agostino parla in questi termini. E la grazia trova il suo riscontro nella carità, che è il compimento di tutte le virtù. ….
Questa è una domanda molto fondata e giusta. Bisognerebbe dire questo: che la partecipazione della divina natura, che avviene nella natura umana, è un che di accidentale. Questo è importante. …
secondo l’amico Rahner, la grazia dev’essere un che di sostanziale. Ma se effettivamente la grazia, se la partecipazione di Dio fosse qualcosa di sostanziale, allora soppianterebbe quell’altra sostanza, che è l’uomo. …
bisogna distinguere. Anzitutto, per quanto riguarda il peccato, ahimè anche il peccato ha una natura, tra virgolette! Seppure allora si usi un po’ equivocamente il termine natura. Ma è vero che il peccato diventa per l’uomo peccatore quasi una seconda natura. E da questa seconda natura, cioè questa abituale propensione al male, bisogna che l’uomo sia strappato. Ed è per questo che la grazia di Dio fa tanto male. Tanto male nel senso di sofferenza. Non so se mi spiego.
Non solo. C’è di più, oserei dire. Io insisto molto sulla natura della carità. Adesso, nella situazione attuale, la carità, se ci afferra, ci strappa proprio al nostro peccato e siccome il peccato si è in qualche modo incancrenito nell’uomo, è uno strappo doloroso. Però il peccato di per sé è contro natura, non è secondo la natura, perché danneggia, avvilisce la natura. Perciò, si può dire che la grazia in qualche modo, eliminando il peccato, fa bene l’azione della grazia sotto quell’aspetto.
Però, anche se l’uomo non fosse peccatore, c’è persino un aspetto interessante, che si pone anche nella situazione di un uomo innocente, in fondo, che riceve la grazia. Lì non si tratta di strappare l’uomo dolorosamente alla situazione del peccato o da inclinazioni malvagie, ecc., ma si tratta però sempre di un trascendimento, che nella carità è molto significativo, perché San Tommaso, quasi contro le sue abitudini generalmente abbastanza prosaiche, fondandosi sullo Pseudo Dionigi, diventa molto poetico.
Cioè fa leva su questa estasi della carità. La carità è veramente estatica, c’è quasi un uscire da sé, per aderire all’oggetto. Quindi, anche sotto questo aspetto, si potrebbe dire che in qualche modo la natura non è danneggiata. Questo non si può dire. Ma è trascesa. È un qualcosa, che ci fa quasi dimenticare il bene connaturale, senza però che sia danneggiato e senza che il nostro bene connaturale quasi sparisca in Dio. …
Però, per capire bene perché la grazia non danneggia la natura, bisogna che ne comprendiamo soprattutto la struttura accidentale e cioè la grazia come accidens in anima, ovviamente non è un accidente banale. Io capisco anche un po’ i nostri esponenti della nouvelle théologie, perché, se fosse un accidente banale, che scaturisce dall’anima, saremmo in pieno pelagianesimo.
Questo non è un accidente che derivi dalla natura del soggetto, ma un accidente che si realizza a modo accidentale nel soggetto, ma la cui essenza è addirittura l’essenza suprema che è quella stessa di Dio. Questo lo approfondiremo ancora quando parleremo della grazia come un che di creato. …
Sant’Agostino, poi dopo facciamo il resto. Sant’Agostino dice anzitutto che la grazia attuale, distinta da quella abituale, è necessaria sia per credere che per meritare. Qui c’è tutta la diatriba contro i pelagiani, anzi contro i semipelagiani, perché i semipelagiani dicevano che, se non altro, almeno l’initium fidei è in noi, mentre il compimento sarà anche in Dio[3], ma l’inizio del credere è in noi. Sant’Agostino dice seccamente di no: anche l’inizio della fede è ancora presso Dio, e quindi anche per credere bisogna avere la grazia attuale.
Poi Sant’Agostino distingue tra gratia operans e gratia cooperans. E questo sarà un tema estremamente delicato e difficile. Vedremo poi il significato di ciò in San Tommaso, mentre in Sant’Agostino significa un minimo di grazia iniziale, la grazia operante, dove Dio tocca quasi per la prima volta l’anima dell’uomo, e la grazia cooperante che è lo sviluppo di questa vita divina nell’anima umana. …
Sant’Agostino pure dice che in fondo l’uomo si può sottrarre alla grazia, può rendere inefficace la grazia ostacolandola. Ma l’operosità della grazia, l’efficacia della grazia, non deriva dall’uomo, ma da Dio. È quella che io chiamo l’asimmetria tra il bene e il male. Il bene della grazia, cioè la sua efficacia non deriva dall’uomo, ma da Dio. Il suo male, se volete, cioè la sua inefficacia, deriva invece dall’uomo e dalla sua resistenza. …
P. Tomas Tyn, OP
Registrazione: Amelia Monesi
Trascrizione del testo da audiocassetta: Sr. Matilde Nicoletti, Bologna 24 giugno 2013 (prima parte) e 27 giugno 2013 (seconda parte)
Testo rivisto da P. Giovanni Cavalcoli, OP: Fontanellato, 27 novembre 2013 (prima parte) e 3 dicembre 2013 (seconda parte)
[1] Questa è la definizione della predestinazione.
[2] Infatti con la sola grazia sufficiente l’uomo non si salva. Se dunque Dio si limitasse a dare ad alcuni solo quella sufficiente indipendentemente dal peccato dell’uomo che blocca quella efficace, l’uomo potrebbe dare la colpa a Dio della sua dannazione. Invece, se l’uomo si danna è perché impedisce a Dio di dare la grazia efficace, mentre, se Dio dà la grazia efficace, questa causa l’atto buono del libero arbitrio.
[3] Dipende da Dio.

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