Le attività delle anime dei beati
Seconda Parte (2/2)
Allucinazione, malattia, sonno, delirio, stato comatoso
Si danno degli stati psichici nei quali noi non possiamo esercitare in tutto o in parte le attività dello spirito perché o per motivi naturali o per motivi morbosi le funzioni psichiche non sono in grado di mettersi al servizio dello spirito. In queste condizioni è impossibile sperimentare la vita dello spirito. Essa tuttavia continua in una forma implicita o inconscia. Anche in queste condizioni la vita spirituale continua, benché non ne abbiamo esperienza o coscienza.
Nel sonno, nell’allucinazione e nello stato di delirio o comatoso manca la coscienza e lo spirito è inattivo non perchè la sua attività dipenda qualitativamente dalla veglia o dalla lucidità mentale o dal contatto con le cose esterne o col proprio corpo, ma perché manca il funzionamento pieno o quanto meno regolare dell’attività sensitiva che sola consente l’esercizio delle attività spirituali.
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È possibile immaginare fin da adesso come potrà essere la condizione della nostra anima separata? Occorre che noi separiamo nettamente l’esperienza del nostro corpo da quella della nostra anima e ci concentriamo in questa seconda esperienza. San Tommaso dice che la nostra anima può avere esperienza di sé stessa in forza della sua spiritualità, per la quale trascende l’esperienza sensibile e quindi può riflettere su sé stessa e cogliersi immediatamente anche senza far uso dei sensi.
Egli parte da questa sentenza di Sant’Agostino, che probabilmente si ispira a Platone: «Mens seipsam per seipsam novit quoniam est incorporea». San Tommaso spiega che si tratta di una conoscenza abituale ed implicita.
Tommaso poi distingue la conoscenza che l’anima ha di sé stessa in quanto la mia anima in particolare, cioè dal punto di vista dell’esistere o dell’essere, dalla conoscenza di che cosa è l’anima in universale, cioè la conoscenza dell’essenza o quiddità dell’anima.
Che nel mio atto di prender coscienza del mio pensare o di altre attività della mia anima io compia degli atti immateriali, me ne rendo conto già da solo in base a questa esperienza. Per cui già questo è sufficiente a farmi capire che io, benché possegga un corpo mortale, tuttavia vivo di una vita immateriale spirituale, superiore nelle sue attività a quanto il corpo è capace di fare.
San Tommaso nota poi come invece la questione dell’essenza dell’anima è molto difficile e richiede una «diligente e sottile ricerca». La via per arrivare a chiedersi qual è l’essenza dell’anima non è la coscienza di sé, che è puramente esistenziale e non speculativa, ma è quella che parte dalla considerazione delle manifestazioni sensibili dell’anima, come per esempio il linguaggio, e applicando induttivamente il principio di causalità, per cui si scopre l’immaterialità degli atti del pensiero e per conseguenza l’immaterialità della facoltà di pensare e quindi del soggetto pensante, soggetto che, non essendo composto di materia e forma, ma essendo pura forma sussistente, cioè l’anima, è un soggetto semplice. Ma, dato che la morte è la dissoluzione del composto, ecco che l’anima è immortale.
Immagine da Internet: Beato Angelico
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