10 giugno, 2024

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito - Terza Parte (3/6)

 

Sulla differenza fra il corpo e lo spirito

Terza Parte (3/6)

 Prima parte – La visione biblico-cristiana

 Il concetto biblico dello spirito

Come è noto, nella Scrittura sono usatissimi i termini rùach e pneuma, che noi traduciamo col termine spirito, dal latino spiritus[1], che significa immediatamente l’alito, il respiro, il soffio, i quali rimandano al concetto della vita, la quale suppone la sostanza vivente, e quindi una sostanza spirituale[2]. Affine alla rùach, del tutto immateriale e sovrasensibile, è la nefesh, che è l’anima dell’uomo e degli animali, sensibile principio di vita del corpo.

La nozione della vita (ebr.hayyim) è una nozione fondamentale della Bibbia. Essa non dà una definizione generale della vita come quella proprietà del vivente per la quale perfeziona se stesso. E però descrive la vita in tutti suoi aspetti e gradi di perfezione, indicando all’uomo che la sua felicità sta nel conseguimento della vita eterna presso Dio. 

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Ciò che appare infatti a prima vista nella concezione biblica dello spirito, compreso Dio stesso, il che fa comodo alla nostra carnalità, è che non esista uno spirito puro, del tutto esente da materia, uno spirito soltanto intellegibile e pensabile. Eppure già il pagano Tacito si era accorto con stupore, lui che ammetteva degli dèi così concreti, sensuali e corposi, che gli Ebrei concepiscono «unum Numen sola mente». Ora la scolastica medioevale, approvata dalla Chiesa, ci ha fatto capire, grazie ad un saggio uso delle categorie aristoteliche, ciò che la Bibbia intende massimamente per rùach e pneuma: uno spirito o una sostanza che non esclude di unirsi a un corpo per formare l’uomo, ma anzitutto, soprattutto e sommante la sostanza o natura o essenza puramente spirituale: l’angelo e Dio.

Invano cercheremmo nella Bibbia la distinzione aristotelica fra materia e forma. Eppure, quanto bene questi concetti si adattano a spiegare la chiarissima distinzione che la Bibbia fa tra corpo e spirito, fra angeli e uomini, fra carne e spirito, fra corpo ed anima, fra cielo e terra, fra Dio e mondo, fra il mortale e l’immortale, fra ciò che passa e ciò che non passa.

Quindi l’universo non esiste da sempre, come credeva Aristotele, ma da un tempo finito. Una successione infinita di fenomeni, uno spazio infinito possono essere immaginati, ma non corrispondono a quanto constata la scienza sperimentale. Su ciò la scienza concorda con la fede.

La quantità degli enti non è infinita. Tutto è preciso, determinato e misurato, come dice la Scrittura: «Tutto hai disposto in numero, peso e misura» (Sap 11,21). L’infinito quantitativo può essere immaginato, ma non può esistere in atto nella realtà.

Nulla c’è in natura di indeterminato, ma indeterminate sono le nostre conoscenze. Il progresso della scienza sposta continuamente i confini del noto, ma il noto ha sempre dei confini. L’infinità delle forme e della materia non ci si presenta mai in atto ma solo in potenza.

Gesù non parla mai né di forma né di materia, o di atto e potenza, ma è evidente la distinzione che fa da una parte tra Dio ed angeli puri spiriti, e dall’altra se stesso come uomo, gli altri uomini e le cose materiali del mondo.

Immagine da Internet: Dettaglio del Giudizio Universale, L'Arcangelo motore del Sole, Giotto - Padova, Cappella degli Scrovegni

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