28 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Terza Parte (3/5)

 


La concezione idealistica della filosofia

Terza Parte (3/5)

 

L’idealismo di Fichte contro la cosa in sé

A somiglianza di Cartesio Fichte sceglie come punto di partenza e base della sua filosofia la coscienza che l’io ha di sé stesso. Sarebbe stato più radicale se, come fa Aristotele, avesse scelto l’ente come ente, che è il concetto più universale e fondamentale che implicitamente include tutti gli altri. La nozione dell’io non è primaria, ma derivata: la formo quando rifletto su di me, dopo aver contattato le cose, sì, proprio dopo aver contattato quella cosa in sé che egli irragionevolmente aborrisce e che Kant volle giustamente mantenere, nonostante i suoi pressanti inviti ad abbandonarla.

Ma anche volendo partire dal mio io, perché mai al mio io dovrebbe essere «contrapposto un non-io»?  Perché mai ci dovrebbe essere per forza e sempre qualcuno che mi dà contro? Che si oppone alla mia esistenza? Non potrebbe essere semplicemente un tu, un altro, un fratello, un diverso col quale entro in amicizia?  Non c’è nessuno che mi ama? Devo essere sempre in guerra? Il noi non esiste?

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Fichte non si rende conto che l’io empirico, l’io individuale del singolo uomo, non è la particolarizzazione di un io universale («trascendentale» o «assoluto») autosussistente che pone sé stesso, similmente al rapporto che esiste tra Fido e Pluto da una parte e l’essenza universale astratta del cane dall’altra, supponendola alla maniera platonica, come fosse un ente sussistente. Al contrario l’io umano è l’effetto creato di quell’Io assoluto, che è Dio stesso creatore.

Secondo Schelling l’affermazione «io sono» coincide con quella che dice «esistono cose fuori di me». La certezza di questa deriva dalla certezza di quella. È lo stesso procedimento di Cartesio: l’autocoscienza è la condizione di possibilità della conoscenza delle cose. Per Cartesio noi non arriviamo all’autocoscienza partendo dalla conoscenza delle cose, ma basiamo detta conoscenza sull’autocoscienza.

Una nozione fondamentale ma molto oscura della filosofia di Schelling è quella dell’Assoluto, sinonimo per lui dell’incondizionato o del Tutto. Dice che è il «Primo». L’Assoluto scellinghiano è l’identità indifferenziata di soggetto-oggetto, finito-infinito, conscio-inconscio ideale-reale, io-realtà esterna. Sembra uno sviluppo dell’io assoluto di Fichte. Sembrerebbe indicare Dio. 

Mentre per Spinoza Dio è sostanza unica ed assoluta e il mondo è proprietà accidentale o modale della sostanza divina e per Plotino il mondo è emanazione dell’Uno, per Schelling Dio è il termine dell’autosviluppo vitalistico del mondo, che da materia diventa spirito o meglio da spirito inconscio diventa conscio, come gli era stato suggerito dal pensiero di Giordano Bruno, per il quale Schelling nutriva grande ammirazione. Schelling afferma che per conoscere l’Assoluto occorre mettersi dal punto di vista dell’Assoluto, cioè «partire dall’Assoluto».

Immagini da Internet: Rappresentazione della creazione del mondo, Miniatura dal codice 212 (o codice padovano o Bibbia di Padova), Accademia dei Concordi

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