Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini
Seconda Parte (2/3)
L’impresa di Bontadini
Il bisogno di Bontadini in sé era legittimo, ma l’errore fu quello di partire da un principio insufficiente e sbagliato, che non può essere l’io, perché l’io non è un trascendentale ma un categoriale quindi daccapo, l’io non può coprire tutto l’orizzonte dell’essere, perché essere non è solo l’io, ma anche il tu. Chi centra tutta la realtà sul proprio io non capisce più l’alterità, la differenza e la diversità. Non gli resta che o negarla o di ridurla al proprio io, due modi per non render loro giustizia.
Per Bontadini l’oggetto della filosofia e della metafisica è l’intero. «La filosofia è la funzione dell’Intero». «La metafisica è scienza o protoscienza dell’Intero». «La filosofia sopravvive come scegliersi del singolo in rapporto all’Intero». «L’assunto degno di un filosofo sarebbe quello di inserire la scienza nel piano dell’intero, dopo averla scaricata dei presupposti dei quali è gravata» (probabile accenno al realismo). «La “filosofia” contemporanea non è sul piano dell’Intero».
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Il moderno idealismo costituisce, secondo lui, un progresso formidabile (garantisce all’umanità la possibilità di pensare), ma esso sarebbe inveramento dell’antico realismo, che egli vede in Parmenide ancor prima che in Aristotele. Ora, dico io, che vi sia un punto di contatto fra idealismo e realismo lo troviamo in San Tommaso, quando, riprendendo Aristotele, afferma che intellectus in actu est intellectum in actu. L’intelletto in atto è l’inteso in atto.
Quindi qui abbiamo un’identità intenzionale o rappresentativa (esse intentionale, esse cognitum) non però ontologica, del pensare con l’essere. L’essere è nel pensiero in quanto pensato, ma resta fuori in sé stesso. Invece Bontadini non vuole questo essere extramentale e concepisce l’essere solo come essere pensato, alla maniera degli idealisti. Però vuol distinguere un «vero» da un falso idealismo. Quello vero si troverebbe in Parmenide, dove secondo Bontadini è possibile una conciliazione dell’idealismo col realismo di Aristotele.
E forse questo intendeva dire Parmenide col suo assioma to autò to noèin kai to einai, «lo stesso è il pensare e l’essere»: un detto che però può ricevere due interpretazioni: o quella idealistica dell’identità del pensiero con l’essere, oppure realistica riferita all’atto del conoscere il vero: quando conosciamo la verità ciò che noi pensiamo è ciò che è.
Resta comunque il fatto che tra realismo ed idealismo occorre scegliere come si sceglie tra il vero e il falso. San Tommaso ha anticipato di sei secoli la confutazione dell’idealismo nell’art.2 della q.85 della Prima Parte della Summa Theologiae: l’idealista quando parla dell’eventualità di considerare come oggetto del sapere le idee e non la realtà.
Le idee (primae intentiones) sono mezzi per conoscere. Diventano oggetto di conoscenza solo in seconda battuta (secundae intentiones) nella logica.
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