Che cosa è il nichilismo?
Quarta Parte (4/5)
La metafisica di Barzaghi
Barzaghi dà il primato al pensiero sull’essere e quindi dell’ideale (o dell’«esemplare», come egli dice) sul reale, mostrandosi nella linea dell’idealismo di Cartesio, Hegel e di Gentile, che gli fu mediato dal suo maestro Bontadini. Il pensiero lo chiama «intero» e il reale «totalità». Il pensiero è inteso come una forma che riceve il contenuto, cioè l’essere, che è inteso come essere pensato; da cui l’identità di pensiero ed essere. Dice, seguendo Bontadini:
«L’Intero non è la Totalità del reale; l’Intero è l’ambito entro cui si indaga intorno alla totalità del reale, in cui si pone l’idea di questa totalità e il relativo problema. Sinonimo di Intero sono “implesso originario”, “struttura originaria”, “orizzonte circonfondente”, “ordine teoretico”, “atto del pensiero”»[1]. L’essere è inteso come pensiero autocosciente sussistente avente per oggetto l’essere come essere pensato.
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Come dice Hegel, «Dio non è Dio senza il mondo». E questo insieme Dio-mondo, al di fuori del quale non c’è nulla, come non c’è nulla al di fuori dell’essere, viene chiamato l’«Intero». … Il vero dualismo non è la nozione analogica dell’essere, ma è nascosto nella nozione univocista e monista di Parmenide.
Per Barzaghi, Dio non crea ponendo ma negando; non crea entificando ma annullando. Non incrementa l’essere, ma lo finitizza. Questa concezione del finito come nulla era già stata espressa da Meister Eckhart e fu condannata da Giovanni XXII nel 1329: «omnes creaturae sunt unum purum nihil; non dico quod sint quid modicum vel aliquid, sed quod sunt unum et purum nihil» (Denz.976).
Ricordiamo anche la proposizione rosminiana condannata: «finita realitas non est, se Deus facit eam esse, addendo infinitae realitati limitationem» (Denz.3212). È lo stesso principio di Spinoza: «omnis determinatio est negatio». Nel creare Dio non incrementa l’essere, ma restringe il proprio.
Il Concilio di Firenze del 1442 dice che «in Dio tutto è uno». Non dice tutto è uno. Dire così vuol dire confondere tutto con tutto. È l’accusa che già Aristotele faceva a Parmenide. Se tutto è tutto, e ogni ente è ogni altro ente, togliamo le distinzioni, le diversità e le differenze. Ma Dio e gli enti sono enti determinati, distinti e differenti fra di loro. L’uno non è l’altro. … dire che tutto è uno porta al nichilismo.
Diverso invece e verissimo è dire che Dio è in tutte le cose, che tutte in lui sussistono e che in Dio tutto è uno, perché Egli, Essere perfettissimo che attua in Sé la totalità dell’essere, ottimo e massimo, è l’insieme unito di tutte le perfezioni nell’unità semplicissima della sua essenza, per cui Egli contiene in Se stesso tutto e ogni cosa, prima che esista fuori di Lui, contiene virtualmente nella sua essenza onnipotente, ogni cosa identica alla sua essenza, essenza divina che è identità assoluta di essere, pensiero e volontà, come la causa precontiene eminentemente in se stessa l’effetto.
Immagine da Internet: Meister Eckhart
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