31 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Sesta Parte (6/6)

 

La concezione idealistica della filosofia

Sesta Parte (6/6)

Bontadini: il pensiero non ha bisogno di garanzie

Bontadini non accetta l’essere non pensato o pensabile extra animam, perché questo a suo dire sarebbe «dualismo».  Egli confonde l’esterno con l’estraneo. Non c’è nessuna estraneità e nessun dualismo fra essere e pensiero. Essi al contrario sono buoni amici. L’essere è estraneo solo quando il pensiero è nell’errore.

Il suo idealismo mostra di essere benintenzionato nel voler mirare all’essere, ma ahimè, questo essere è solo l’essere pensato. Ed inoltre Bontadini non comprende come il pensiero non è l’essere, ma è rappresentazione e intenzione di essere, subordinato all’essere, regolato dall’essere, con l’obbligo di adeguarsi all’essere. Il pensiero ha un essere spirituale. Ma esiste anche l’essere materiale.

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Bontadini propone un concetto di filosofia, che risente chiaramente del monismo parmenideo, e che egli chiama «unità dell’esperienza», tale da congiungere realismo ed idealismo, e la chiama appunto «ideal-realismo» quasi a volersi porre da un punto di vista superiore che in realtà non esiste.

Barzaghi fa un parallelo tra il pensare e il conoscere in senso idealistico da una parte e la ben nota distinzione aristotelico-tomistica fra intelletto agente e intelletto possibile dall’altra, un parallelo del tutto sconveniente ed incongruo, giacchè l’intelletto agente tomistico nulla ha a che vedere con la concezione barzaghiana, idealistica, del «pensiero puro». Inoltre Barzaghi dice che «l’intelletto agente intende l’essere». «La luce che caratterizza per metafora l’intelletto agente è lo stesso essere».

L’intelletto agente tomistico non è affatto il «pensiero puro» del quale parla Barzaghi, perché allora dovrebbe identificarsi col pensiero divino. E neppure si può dire che intende l’essere. L‘intelletto agente non intende niente. È lo intelletto possibile che intende l’essere e, intendendolo, ne forma il concetto. L’intelletto agente fa intendere. È luce non perchè sia l’essere, ma perchè fa luce: illumina i fantasmi affinchè l’intelletto possibile ne ricavi la loro intellegibilità astraendo dai dati del senso.

Cartesio come Lutero ha voluto superare e demolire San Tommaso, continuamente invece raccomandato dai Papi fino a Papa Francesco e a Papa Leone. Non si tratta di un discepolato tomista orientato all’esclusiva condanna degli errori moderni, ma è un tomismo conforme alle prescrizioni del Concilio Vaticano II, ottimamente riflesse nelle Costituzioni dell’Ordine Domenicano e confermate da documenti pontifici postconciliari come la lettera Lumen Ecclesiae di San Paolo VI del 1974.

Occorre chiamare a raccolta tutte le grandi voci della filosofia moderna, quasi a formare un’immersa orchestra. Occorre però affidare l’accordo delle musiche e degli strumenti, nonchè la guida dell’esecuzione musicale a colui che Pio XI chiamò Dottore comune della Chiesa, titolo ripetuto da Papa Francesco l’anno scorso, VIII centenario della sua morte: San Tommaso d’Aquino.

Immagine da Internet: Evangeliario di Godescalco, Cristo in maestà, tra il 781 e il 783 circa, Parigi

30 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Quinta Parte (5/6)

 

La concezione idealistica della filosofia

Quinta Parte (5/6)

Husserl: nulla esiste fuori della coscienza

Per Husserl la filosofia è la fenomenologia, che, a ben guardare, è una forma di idealismo: 

«Attraverso la fenomenologica messa fuori gioco del mondo obiettivo, questa sfera “immanente” dell’essere perde bensì il suo senso di uno strato reale di quella realtà uomo (oppure animale) che inerisce al mondo e che presuppone già il mondo. Perde il senso di vita coscienziale umana. … Ma non va semplicemente perduta: attraverso il mutato atteggiamento dell’epochè ottiene il senso di una sfera assoluta dell’essere».

«La consapevole attuazione dell’epochè si rivelerà come quell’operazione metodica, assolutamente necessaria, che è capace di dischiuderci, con la regione assoluta dell’autonoma soggettività, quel terreno dell’essere con cui è in riferimento, insieme con la nuova esperienza e con la fenomenologia, ogni filosofia radicale, quel terreno che le conferisce il senso di una scienza assoluta».

Husserl chiama «scienza naturale» il realismo, ossia l’ammissione indubitabile dell’esistenza di cose fuori di noi e della nostra coscienza, con la conseguenza che la filosofia viene intesa come conoscenza di queste cose e delle loro cause. Invece per Husserl non c’è niente fuori della nostra coscienza, per cui la filosofia si esaurisce nell’analisi di ciò che c’è nella nostra coscienza. 

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La concezione idealistica della realtà appare evidente da domande che Husserl si pone. La risposta è chiara: le cose non hanno un senso in se stesse, ma è la coscienza che dà senso alle cose. È evidente come qui Husserl confonda l’aspetto produttivo della formazione (species expressa) del conoscere con quello recettivo informatore (species impressa), e non comprenda come, se la cosa è in noi in quanto pensata, non per questo non resta fuori in quanto pensabile.

La filosofia di Heidegger non si può qualificare come idealismo nella sua denominazione linguistica, perché ad Heidegger la tematica dell’idea interessa scarsamente. E tuttavia anche in Heidegger c’è la sostanza dell’idealismo in quanto l’idealismo comporta l’esprimersi del trascendentale kantiano nel categoriale empirico. Heidegger vuol dire che Kant mantiene il concetto tomista della verità gnoseologica come adaequatio ad rem, solo che inverte il rapporto stabilito da San Tommaso, il quale parla di adeguazione del soggetto (intellectus) all’oggetto (res).

Per Tommaso la verità risiede nell’intelletto prima che appartenere all’essere, perché essa presuppone l’atto dell’intelletto, mentre l’essere di per sé non dice vero (verum), ma solo essere. Questo è il puro realismo. Invece, ridurre l’essere al vero è la tipica operazione dell’idealismo, che ammette l’essere (oggetto) non in sé indipendente dal pensiero, ma solo in relazione all’intelletto (soggetto umano), l’essere in quanto pensato.

La novità dell’idealismo contemporaneo è che il suo riferimento non è più Hegel, per cui non è più storicista, ma è Parmenide, per cui è diventato eternalista. Rahner confonde il pensare a Dio col pensare all’essere.

Severino, che accusa di contradditorietà la formulazione aristotelico-tomista del principio di non-contraddizione, è poi costretto egli stesso ad accettare la contraddizione dovendo ammettere che anche il divenire, che è contradditorio, appartiene all’essere. Severino non sarebbe caduto in questa contraddizione, se avesse distinto con San Tommaso, potenza di essere ed atto di essere e per conseguenza avesse distinto essenza ed essere. Non si è reso conto che mentre il diveniente è composto di atto e potenza, dove l’essenza resta distinta dall’essere, non l’essere come tale, ma solo Dio è puro atto di essere e identità di essenza e di essere.

Immagine da Internet: La creazione, L 'elogio della geometria, Biblioteca Nazionale francese

29 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Quarta Parte (4/6)

 

La concezione idealistica della filosofia

Quarta Parte (4/6)

 

Il filosofare hegeliano: costruire l’Assoluto

 Cornelio Fabro definisce il filosofare hegeliano in questi termini:

«L’Assoluto, dichiara Hegel, deve per la coscienza essere costruito e questo è il compito della filosofia; ma poiché tanto il produrre quanto i prodotti della riflessione sono soltanto limitazioni, ecco che sorge qui la contraddizione: L’Assoluto dev‘essere riflesso, posto; ma con questo non è posto, bensì tolto, poiché in quanto è posto, esso sarebbe limitato. La mediazione di questa contraddizione costituisce la riflessione filosofica ed è precisamente la dialettica. La ragione si presenta infatti come forza dell’Assoluto negativo, perciò come negare assoluto e insieme come forza del porre della totalità opposta, oggettiva e soggettiva».

Questa concezione tipicamente idealistica del filosofare non come indagine o ricerca, ma come costruire riapparirà chiara nella filosofia di Severino nello stesso titolo della sua opera programmatica La struttura originaria. Il motore immobile per Severino non è un ente sommo, causa prima delle cose, ma è un congegno costruito dall’uomo: un dio, direbbe la Scrittura, opera delle mani dell’uomo.

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Hegel rimprovera all’Assoluto di Schelling proprio questa mancanza di determinatezza e differenziazione… rimprovera Schelling di non essere riuscito ad esprimere l’Assoluto nel concetto, nel ragionamento, nel contenuto necessario ed universale, opera della ragione e della scienza, opera propria della filosofia. Diversamente, osserva Hegel, si esce dal campo della logica e della ragione, quindi ci si aggira nella nebbia della sensazione individuale, dell’emotività, dell’immaginazione, del mito, della poesia, non del sapere e della verità.

Gentile con Berkeley confonde da buon idealista la dipendenza ontologica dell’essere con la dipendenza gnoseologica del pensare. Dopo Gentile, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso l’idealismo assume una nuova veste: abbandona il concetto hegeliano del filosofare come Concetto assoluto o Idea assoluta e per opera di Husserl ed Heidegger, l’idealismo cambia veste ed impostazione. Si congiunge in Jaspers con l’esistenzialismo. Senza abbandonare il suo assunto di fondo dell’identità del pensiero con l’essere, esso sposta la sua attenzione dal pensiero all’essere, ma si tratta sempre dell’essere-pensato-da-me, dell’essere-che-sono-io di origine cartesiana. Ma il ritrovamento heideggeriano dell’essere non ha nulla a che vedere con l’esse di San Tommaso. È l’essere parmenideo.

Ecco l’esperienza del sé, proveniente dall’induismo, l’esperienza religiosa di William James, l’esperienza o intuizione dell’essenza (wesenschau) in Husserl (il «vissuto», erlebnis), l’esperienza atematica trascendentale dell’essere in Heidegger, Schillebeeckx, Rahner, Lotz, Severino e Barzaghi.

E’ molto interessante il poderoso richiamo al realismo fatto nel sec. XIX contro Hegel da Karl Marx. È rimasto famoso il suo programma filosofico: Hegel aveva esposto la realtà in modo rovesciato, con i piedi in alto e la testa in basso. Marx la volle riportare con i piedi in basso e la testa in alto. Però questo «dipendere» Marx non lo intese solo in senso gnoseologico, ma anche ontologico ed inoltre per «realtà» intendeva la realtà materiale. Così la conclusione a cui giunse è che non è la materia a dipendere dallo spirito, ma è lo spirito a dipendere dalla materia.

Immagine da Internet: D' iniziale in un salterio francese. John Paul Getty Museum, Los Angeles

28 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Terza Parte (3/6)

 


La concezione idealistica della filosofia

Terza Parte (3/6)

 

L’idealismo di Fichte contro la cosa in sé

A somiglianza di Cartesio Fichte sceglie come punto di partenza e base della sua filosofia la coscienza che l’io ha di sé stesso. Sarebbe stato più radicale se, come fa Aristotele, avesse scelto l’ente come ente, che è il concetto più universale e fondamentale che implicitamente include tutti gli altri. La nozione dell’io non è primaria, ma derivata: la formo quando rifletto su di me, dopo aver contattato le cose, sì, proprio dopo aver contattato quella cosa in sé che egli irragionevolmente aborrisce e che Kant volle giustamente mantenere, nonostante i suoi pressanti inviti ad abbandonarla.

Ma anche volendo partire dal mio io, perché mai al mio io dovrebbe essere «contrapposto un non-io»?  Perché mai ci dovrebbe essere per forza e sempre qualcuno che mi dà contro? Che si oppone alla mia esistenza? Non potrebbe essere semplicemente un tu, un altro, un fratello, un diverso col quale entro in amicizia?  Non c’è nessuno che mi ama? Devo essere sempre in guerra? Il noi non esiste?

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Fichte non si rende conto che l’io empirico, l’io individuale del singolo uomo, non è la particolarizzazione di un io universale («trascendentale» o «assoluto») autosussistente che pone sé stesso, similmente al rapporto che esiste tra Fido e Pluto da una parte e l’essenza universale astratta del cane dall’altra, supponendola alla maniera platonica, come fosse un ente sussistente. Al contrario l’io umano è l’effetto creato di quell’Io assoluto, che è Dio stesso creatore.

Secondo Schelling l’affermazione «io sono» coincide con quella che dice «esistono cose fuori di me». La certezza di questa deriva dalla certezza di quella. È lo stesso procedimento di Cartesio: l’autocoscienza è la condizione di possibilità della conoscenza delle cose. Per Cartesio noi non arriviamo all’autocoscienza partendo dalla conoscenza delle cose, ma basiamo detta conoscenza sull’autocoscienza.

Una nozione fondamentale ma molto oscura della filosofia di Schelling è quella dell’Assoluto, sinonimo per lui dell’incondizionato o del Tutto. Dice che è il «Primo». L’Assoluto scellinghiano è l’identità indifferenziata di soggetto-oggetto, finito-infinito, conscio-inconscio ideale-reale, io-realtà esterna. Sembra uno sviluppo dell’io assoluto di Fichte. Sembrerebbe indicare Dio. 

Mentre per Spinoza Dio è sostanza unica ed assoluta e il mondo è proprietà accidentale o modale della sostanza divina e per Plotino il mondo è emanazione dell’Uno, per Schelling Dio è il termine dell’autosviluppo vitalistico del mondo, che da materia diventa spirito o meglio da spirito inconscio diventa conscio, come gli era stato suggerito dal pensiero di Giordano Bruno, per il quale Schelling nutriva grande ammirazione. Schelling afferma che per conoscere l’Assoluto occorre mettersi dal punto di vista dell’Assoluto, cioè «partire dall’Assoluto».

Immagini da Internet: Rappresentazione della creazione del mondo, Miniatura dal codice 212 (o codice padovano o Bibbia di Padova), Accademia dei Concordi

24 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Seconda Parte (2/6)

 

La concezione idealistica della filosofia

Seconda Parte (2/6)

 

 L’idealismo è un volontarismo

Ho già mostrato più volte nei miei scritti su Cartesio come la sua affermazione del nostro sum non è un’affermazione che sia effetto di una constatazione intellettuale necessitata dall’evidenza dell’oggetto, ma di una libera decisione della volontà. Sicchè d’ora in avanti non è la libertà che consegue alla verità, ma è la verità ad essere effetto della libertà o della volontà o della prassi.

Da qui nasce il tipico volontarismo idealista che compare nel primato kantiano della ragion pratica. Per Kant il conoscere è costruire l’oggetto unendo la forma a priori dell’intelletto con la materia delle sensazioni. 

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L’odio che Lutero aveva per la filosofia e la teologia di San Tommaso non fu certo segno di realismo. Lutero intendeva combattere una ragione arrogante e sofistica. E in ciò egli si rifaceva in certo modo alla polemica di Sant’Agostino contro i pelagiani e gli accademici. Ma Agostino conosceva bene anche il valore della ragione, che ha il compito di farci trascendere noi stessi per farci tendere a quel Luogo trascendente, cioè Dio, «ubi ipsum lumen rationis accenditur».

Il pensare, in noi, appartiene alla categoria accidentale della qualità, che si aggiunge e qualifica la sostanza o persona umana a differenza delle sostanze inferiori. Il nostro atto di pensare non s’identifica col nostro atto d’essere, ma vi si aggiunge, se si aggiunge, come atto secondo. Il sapere acquisito appartiene alla categoria accidentale dell’avere o del possedere. In quanto comunicato, il sapere o il pensare appartiene alla categoria della relazione. Solo in Dio il pensare è sostanziale e sussistente, perché coincide col suo stesso atto d’essere.

Ma anche mettendo il conoscere nella categoria dell’accidente, esso non è un fare o un agire, ma un essere o divenire ideale o intenzionale, cosciente ed intramentale, un divenire intenzionale l’altro in quanto altro, restando se stessi ontologicamente. È vero che nel conoscere noi produciamo il concetto o le nostre idee, ma si tratta di semplici enti mentali, come mezzi del conoscere e diventano oggetti di conoscenza o meglio di coscienza solo quando riflettiamo su di essi dopo averli prodotti.

Il pensare umano passa, se passa, dalla potenza all’atto. Il pensare nell’embrione umano è solo in potenza.  Il pensare umano passa dall’ignoranza alla scienza. Solo il pensare divino è scienza in atto. Non s’identifica sic et simpliciter con l’essere, come il pensare divino, ma solo intenzionalmente nell’atto del conoscere. E comunque, è chiaro che quando cade nell’errore si separa dall’essere.

Immagine da Internet: Sidra, il libro sacro di Qaraqosh (https://www.vaticannews.va/fr/pape/news/2021-02/sidra-livre-sacre-qaraqosh-pape-voyage-irak.html)

23 ottobre, 2025

La concezione idealistica della filosofia - Prima Parte (1/6)

 

La concezione idealistica della filosofia

Prima Parte (1/6)

Studium philosophiae secundum se est licitum

et laudabile, propter veritatem

quam philosophi perceperunt, Deo illis revelante,

ut dicitur Rm 1,19. Sed quidam philosophi

abutuntur ad fidei impugnationem.

Sum.Theol., II-II, q.167, a.1, 3m

 

Che cosa è la filosofia

L’uomo per definizione è un soggetto corporeo dotato di intelletto, che lo porta spontaneamente a porsi alcune domande ineludibili e fondamentali che riguardano il senso, l’origine e il fine  delle cose e della propria esistenza, a formare alcune nozioni basilari, a scoprire alcuni princìpi e verità fondamentali indiscutibili, come per esempio la nozione del bene, il principio di causalità o la legge naturale o il culto divino, basandosi sui quali egli può organizzare la sua vita in modo normale, onesto, ragionevole, decente, dignitoso e soddisfacente.

Ogni uomo per sua natura possiede la ragione che lo spinge a porsi le suddette domande, a formare i medesimi concetti, a trovare le medesime risposte, a incontrare le medesime difficoltà, a commettere gli stessi errori.

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La filosofia è opera della ragione, la cui comprensione è limitata e la cui attività è fallibile. Essa pertanto deve essere disposta a lasciarsi istruire e correggere dalla rivelazione divina, creatrice della ragione. 

Bisogna distinguere il filosofo dal sapiente. La filosofia è ricerca della sapienza, per cui il filosofo s’interroga, domanda, indaga, impara, obietta, discute, approfondisce, si corregge, confuta, ipotizza, dimostra.

Il sapiente invece è già in possesso della verità o della sapienza, è il maestro e dottore che afferma, insegna, enuncia, espone, sentenzia, dichiara, giudica o condanna. Il filosofo è problematico perchè cerca; il sapiente è dogmatico (dal gr. dogma=sentenza), perché sa. Per questo, mentre per esempio Cristo è il sapiente che sa, insegna e non cerca, perché non ne ha bisogno, un Aristotele è stato un filosofo perché ha cercato ed ha trovato.

 
Immagine da Internet: Dettaglio dalla miniatura del Codex Purpureus Rossanensis, evangelisti greci in miniatura, probabilmente da Antiochia di Siria o di Cesarea Palestina, e conservato nel Museo Diocesano di Rossano in Cosenza

21 ottobre, 2025

PADRE BARZAGHI VI PRESENTA LA METAFISICA

 

PADRE BARZAGHI VI PRESENTA LA METAFISICA

 

Non è facile presentare in poche parole che cosa è la metafisica e la sua importanza.

Ho pensato di far cosa gradita ai Lettori riferire quanto dice il Padre Giuseppe Barzaghi, Direttore dello Studio Filosofico Domenicano di Bologna e Docente di Metafisica nel medesimo Studio. In esso sono stato suo predecessore nella medesima docenza, che ho tenuto dal 1990 al 2011.

La visione di Padre Barzaghi, che risente del suo maestro Gustavo Bontadini, è ampia e profonda, ma suscita anche forti riserve.

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20 ottobre, 2025

Da Papa Francesco a Papa Leone. Sviluppare e riassettare.

 

Da Papa Francesco a Papa Leone

Sviluppare e riassettare

 

 Aumentare il bene fatto da Francesco

Papa Francesco è stato un Papa operosissimo fino agli ultimi anni ad età molto avanzata affrontando in carrozzella viaggi faticosi in terre lontanissime. Con la sua sollecitudine pastorale per i grandi temi della misericordia, della giustizia sociale, della solidarietà umana, della libertà  religiosa, del riscatto dei poveri, ha conferito al Papato un prestigio unico in campo internazionale, tanto che tutti ad Occidente e ad Oriente hanno guardato a lui come garanzia della pace nel mondo.

Francesco ha compiuto alcuni atti di tale importanza ed originalità, che ci obbligano a grande gratitudine e riconoscenza per il bene che ci ha fatto: la straordinaria insistenza sul tema della misericordia, che meglio ci ha fatto conoscere dove e come oggi opera la misericordia divina; l’accordo di Abu-Dhabi, dove per la prima volta nella sua storia l’Islam ha accettato l’ideale della fratellanza universale; la condanna dello gnosticismo, apoteosi della tracotanza, una condanna che finora nessun Papa aveva mai pronunciato; la rinnovata raccomandazione del pensiero di  San Tommaso, Dottore Comune della Chiesa.

Esiste tuttavia una serie di punti dottrinali e pastorali, dove occorre che Papa Leone metta ordine. Occorre soprattutto colmare delle lacune. Francesco ha insistito molto su alcuni temi, ma ha lasciato in ombra altri. Occorre recuperarli. Ne faccio un elenco. 

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Immagini da :  https://www.vatican.va/content/photogallery/it.html

17 ottobre, 2025

Il tempo e l’eterno nella metafisica - La minestra riscaldata dello storicismo

 

Il tempo e l’eterno nella metafisica

La minestra riscaldata dello storicismo

 La metafisica fissata sul tempo. L'eraclitismo perenne.

Il quotidiano Avvenire del l2 ottobre scorso ospita un articolo di Philippe Capelle-Dumomt, dell’Institut Catholique di Parigi, dal titolo Essere e tempo. Ripensare la metafisica. Le parole di presentazione suonano così: «la metafisica non cerca più certezze eterne e torna ad interrogare costantemente il tempo; non come semplice cornice del divenire, ma come sfida viva e terreno comune fra essere, rivelazione e relazione». Da ciò dunque risulta che il terreno comune non è più l’essere, ma il tempo. Tutto nel tempo, niente fuori del tempo. Questa non è metafisica ma novellistica.

«Tra fondamento e trascendenza il tempo torna al centro del pensiero metafisico».  Centro non è l’essere, ma il tempo. «Il tempo fonda, in un gioco che obbliga l’umano altrimenti, a monte delle determinazioni della volontà dell’uomo». Il fondamento della realtà non è l’essere, ma il tempo. Ricordiamo che il tempo è relativo all’evolversi della materia. Quindi con idee del genere, si giunge alla conclusione che la previsione del tempo è già metafisica.

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Non c’è dubbio che Dio è il creatore del tempo e che lo stesso destino escatologico dell’uomo non prescinde da una nuova temporalità e da una nuova storia. Ma tra il dire questo e il fare del tempo il centro di tutti gli interessi dell’uomo ci corre molto e si cade certamente nell’errore.

Il tempo è un accidente della sostanza materiale, la quale, col suo evolvere e divenire comporta un prima e un poi, che la misura e la mantiene in collegamento col suo passato e col suo futuro. Certamente il tempo appartiene all’orizzonte dell’essere. Esiste l’essere temporale, ma, come ho detto, l‘essere in quanto essere prescinde dal tempo. Esso è oggetto della fisica sperimentale e di quella filosofica.

Immagine da Internet: La creazione, Monreale

10 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Seconda Parte (2/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Seconda Parte (2/2)

 

Allucinazione, malattia, sonno, delirio, stato comatoso

Si danno degli stati psichici nei quali noi non possiamo esercitare in tutto o in parte le attività dello spirito perché o per motivi naturali o per motivi morbosi le funzioni psichiche non sono in grado di mettersi al servizio dello spirito. In queste condizioni è impossibile sperimentare la vita dello spirito. Essa tuttavia continua in una forma implicita o inconscia. Anche in queste condizioni la vita spirituale continua, benché non ne abbiamo esperienza o coscienza.

Nel sonno, nell’allucinazione e nello stato di delirio o comatoso manca la coscienza e lo spirito è inattivo non perchè la sua attività dipenda qualitativamente dalla veglia o dalla lucidità mentale o dal contatto con le cose esterne o col proprio corpo, ma perché manca il funzionamento pieno o quanto meno regolare dell’attività sensitiva che sola consente l’esercizio delle attività spirituali.

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È possibile immaginare fin da adesso come potrà essere la condizione della nostra anima separata? Occorre che noi separiamo nettamente l’esperienza del nostro corpo da quella della nostra anima e ci concentriamo in questa seconda esperienza. San Tommaso dice che la nostra anima può avere esperienza di sé stessa in forza della sua spiritualità, per la quale trascende l’esperienza sensibile e quindi può riflettere su sé stessa e cogliersi immediatamente anche senza far uso dei sensi.

Egli parte da questa sentenza di Sant’Agostino, che probabilmente si ispira a Platone: «Mens seipsam per seipsam novit quoniam est incorporea». San Tommaso spiega che si tratta di una conoscenza abituale ed implicita.

Tommaso poi distingue la conoscenza che l’anima ha di sé stessa in quanto la mia anima in particolare, cioè dal punto di vista dell’esistere o dell’essere, dalla conoscenza di che cosa è l’anima in universale, cioè la conoscenza dell’essenza o quiddità dell’anima.

Che nel mio atto di prender coscienza del mio pensare o di altre attività della mia anima io compia degli atti immateriali, me ne rendo conto già da solo in base a questa esperienza. Per cui già questo è sufficiente a farmi capire che io, benché possegga un corpo mortale, tuttavia vivo di una vita immateriale spirituale, superiore nelle sue attività a quanto il corpo è capace di fare.

San Tommaso nota poi come invece la questione dell’essenza dell’anima è molto difficile e richiede una «diligente e sottile ricerca». La via per arrivare a chiedersi qual è l’essenza dell’anima non è la coscienza di sé, che è puramente esistenziale e non speculativa, ma è quella che parte dalla considerazione delle manifestazioni sensibili dell’anima, come per esempio il linguaggio, e applicando induttivamente il principio di causalità, per cui si scopre l’immaterialità degli atti del pensiero e per conseguenza l’immaterialità della facoltà di pensare e quindi del soggetto pensante, soggetto che,  non essendo composto di materia e forma, ma essendo pura forma sussistente, cioè l’anima, è un soggetto semplice. Ma, dato che la morte è la dissoluzione del composto, ecco che l’anima è immortale.

Immagine da Internet: Beato Angelico 

09 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Prima Parte (1/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Prima Parte (1/2)

                                                               Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni (Sal 23, 6)                                                                                    

Lo spirito è immortale?

                                                                               Non omnis moriar

Se noi riflettiamo su noi stessi, e sul nostro agire e sul nostro essere, salvo che non siamo totalmente immersi nell’animalità, è impossibile che non ci accorgiamo di essere composti di una dualità di spirito e corpo, due forme di essere molto diverse fra di loro e subordinate l’una (quella materiale) all’altra (quella spirituale). Io sono un corpo, ma sono anche spirito.

E come non interrogarci sulla questione della nostra evidente ed inesorabile corruttibilità? Tutti sappiamo che dobbiamo morire. Ma che cosa è la morte? Che cosa ci succede quando moriamo? Ci è così evidente, come pensava Cartesio, che in quel momento il nostro spirito immortale abbandona il nostro corpo alla dissoluzione? Da dove nasce invece la paura che finisca tutto? Non potrebbe essere vera? Come mai, fin dall’antichità tantissimi, i materialisti, ben consapevoli della veracità dei sensi, sono convinti che alla nostra morte siamo completamente distrutti e non sopravvive nessuna anima? 

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Anche quando siamo a letto al buio noi sentiamo di avere uno spirito, indipendente dal corpo, anche se nella vita presente non possiamo fare a meno di usare il corpo e i sensi. Le indisposizioni fisiche, l’agitazione o il tumulto delle passioni, la sonnolenza, la stanchezza, la malinconia, gli stati deliranti, la debolezza mentale, la depressione, possono farci credere che le nostre attività spirituali dipendano dalla materia o dallo stato di salute o dalle emozioni, insomma dal corpo e dalla materia.

Ma se riflettiamo sulla loro spiritualità, noteremo che il loro esercizio è autonomo dalla materia e la domina erigendosi ad una realtà immateriale immensamente superiore al mondo della materia. Che cosa è il pensiero dell’essere, della verità, dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno, dell’amore, della libertà, della santità, di Dio davanti alle limitatezze, alla ristrettezza, alla caducità, all’instabilità, all’effimero, alla fugacità e alla vanità delle cose del mondo materiale?

Alcuni parlano di «esperienza trascendentale» come esperienza dell’essere, del divenire, dell’altro, del diverso, dell’uno, del vero, del bene, del qualcosa, della realtà. Certamente, in questo senso essa esiste. È la visione dell’essenza, l’esperienza metafisica e del mistero, l’intuizione dell’essere e delle cose spirituali.

Le esperienze dell’estasi mistica, basata sulla fede e la carità, che riscontriamo nei grandi santi, sono molto rare, ma testimoniano in modo lampante la piena trascendenza e indipendenza qualitativa dell’attività spirituale rispetto a quelle sensibili. Coloro che hanno simili esperienze acquistano una certezza assoluta della sopravvivenza della propria anima e una speranza incrollabile nella futura beatitudine, che li incoraggia a compiere eroiche imprese per l’avvento del regno di Dio.

Immagine da Internet: Giudizio Universale, Beato Angelico

08 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Terza Parte (3/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Terza Parte (3/3)

 

Legga invece cosa ha dichiarato il vescovo Athanasius Schneider, dove troverà anche risposta ad altre domande che mi fa (dall’intervista della giornalista Dianne Montagna ...

 

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In un articolo dello stesso Martin su Outreach, egli nega esplicitamente che la Bibbia …  Non so se lei, Padre Giovanni, abbia mai sentito di tali esegesi farneticanti....

1)

Caro Bruno,

in queste parole del P. Martin è evidente la confusione che egli fa, da una parte tra i divini comandamenti, che sono immutabili, e tra questi c’è la proibizione del peccato di sodomia, e dall’altra certe norme pratiche o giuridiche che corrispondono a stadi superati o arretrati della coscienza morale, ossia comportamenti che, grazie alla successiva diffusione del Vangelo e al progresso morale che esso ha causato da allora ad oggi, sono stati abbandonati e oggi sono addirittura condannati. 

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07 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Seconda Parte (2/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Seconda Parte (2/3)

 

3) Bruno V. 27/9/25

Caro Padre Giovanni,

Mi consenta di precisare alcuni punti rispetto alla sua risposta.

Condivido pienamente l’importanza di distinguere sempre quando il Papa si pronuncia a livello magisteriale, rispetto a quando parla da dottore privato.

Non posso però far a meno di pormi la domanda: che cosa ci ha comunicato, da poco più di un mese ad oggi, il Santo Padre sul peccato di sodomia?

La prima risposta è che certamente, a livello magisteriale, non ha prodotto alcuna affermazione di tolleranza per tale peccato, e dunque è pienamente rimasto nell’ortodossia. Su questo, siamo perfettamente d’accordo.

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06 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Prima Parte (1/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Prima Parte (1/3)

 

Ritengo utile ai Lettori pubblicare questa discussione che ho avuto con un Lettore a proposito di quanto è successo, agli inizi di settembre u.s., con l’ingresso di alcuni omosessuali nella Porta Santa in occasione del Giubileo.

Un fatto del genere non si registra, che io sappia, in tutta la storia degli Anni Giubilari dalla loro istituzione. Che cosa pensare di questo avvenimento, che ha suscitato reazioni in tutto il mondo?

Io, insieme con il mio interlocutore, presentiamo ai Lettori un insieme di considerazioni e valutazioni pro e contra che penso siano utili a far riflettere e a dare un giudizio ponderato in comunione con la Chiesa e con Papa Leone XIV.

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05 ottobre, 2025

Il concetto di Dio in Bontadini - Seconda Parte (2/2)

 

Il concetto di Dio in Bontadini

Seconda Parte (2/2)

 

Come sorge il problema dell’esistenza di Dio?

Secondo Bontadini la questione dell’esistenza di Dio nasce dal bisogno di togliere la contraddizione che apparentemente esiste nel diveniente, ossia nell’ente fisico mobile e sensibile. Ma il fatto è che Bontadini prende in considerazione gli enti fisici alla luce del concetto parmenideo dell’essere, inteso come essere assoluto, uno, unico, necessario, eterno ed immutabile.

Per questa ragione Bontadini crede di aver trovato una prova dell’esistenza di Dio, una «via breve», come la chiama, più rigorosa delle famose cinque vie di San Tommaso.

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Per Parmenide l’essere è eterno, per cui non c’è spazio per l’essere temporale. Il pensare è l’essere, per cui manca la distinzione del pensiero dall’essere. Tutto dunque è uno indifferenziato e l’uno è l’assoluto, dunque Dio. E dunque esiste solo Dio. E quindi nessuna creazione del mondo, ma identità del mondo con Dio. E questo sarebbe l’«Intero».

Come il nostro intelletto coglie l’essere? San Tommaso ha una ricchissima dottrina sull’essere, ma non ci spiega come giungiamo all’essere, con quale mezzo o con quale metodo egli vi è arrivato. Egli ne parla come di cosa nota a tutti e tutti sapessero come vi si arriva, per cui non sarebbe necessario dare spiegazioni.

La creazione dal nulla per Bontadini è impossibile perché si rifà al motto greco «dal nulla non viene nulla», trascurando il fatto che questo principio vale se si vuol considerare il nulla come causa; ma l’ex nihilo del dogma della creazione non dice affatto causalità, ma solo precedenza temporale, come a dire che l’alba proviene dalla notte.

La conclusione di questa discussione sulle idee di Severino e Bontadini viene ad essere la seguente: esiste solo l’essere assoluto, mentre ammettere Dio e un mondo diveniente esterno a Dio creato dal nulla da Dio è contradditorio e impossibile; per cui se esiste il mondo, esso è una finitizzazione molteplice di Dio interna a Dio e identica a Dio. Il Dio totale è la sintesi del Dio parziale e del mondo, ossia l’Intero. Dunque il panteismo.

La differenza fra Severino e Bontadini sta nel fatto che mentre Severino non parla di Dio, ma solo dell’essere, perché la parola Dio gli evoca il Dio cristiano creatore del mondo dal nulla, e crede che  il concetto di creazione sia nichilismo, Bontadini, che vuol essere cattolico, mantiene la parola «Dio» col significato di essere assoluto, non però come causa efficiente e motrice prima ed ente supremo, ma come unico essere esistente, per cui la creazione per Bontadini non è produzione di essere, ma semplice dipendenza formale del mondo da Dio internamente a Dio, libero dalla contraddizione appunto perchè identico all’Identità divina.

Parmenide ci offre un’immagine visiva e vorremmo dire plastica del suo concetto dell’essere, quando parla dell’essere «pieno e rotondo». Questa immagine corposa e semplicissima rappresenta in modo alquanto significativo la visione cosmico-metafisica parmenidea di Severino e Bontadini.

Immagine da Internet: Kandinsky