La concezione idealistica della filosofia
Sesta Parte (6/6)
Bontadini: il pensiero non ha bisogno di garanzie
Bontadini non accetta l’essere non pensato o pensabile extra animam, perché questo a suo dire sarebbe «dualismo». Egli confonde l’esterno con l’estraneo. Non c’è nessuna estraneità e nessun dualismo fra essere e pensiero. Essi al contrario sono buoni amici. L’essere è estraneo solo quando il pensiero è nell’errore.
Il suo idealismo mostra di essere benintenzionato nel voler mirare all’essere, ma ahimè, questo essere è solo l’essere pensato. Ed inoltre Bontadini non comprende come il pensiero non è l’essere, ma è rappresentazione e intenzione di essere, subordinato all’essere, regolato dall’essere, con l’obbligo di adeguarsi all’essere. Il pensiero ha un essere spirituale. Ma esiste anche l’essere materiale.
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Bontadini propone un concetto di filosofia, che risente chiaramente del monismo parmenideo, e che egli chiama «unità dell’esperienza», tale da congiungere realismo ed idealismo, e la chiama appunto «ideal-realismo» quasi a volersi porre da un punto di vista superiore che in realtà non esiste.
Barzaghi fa un parallelo tra il pensare e il conoscere in senso idealistico da una parte e la ben nota distinzione aristotelico-tomistica fra intelletto agente e intelletto possibile dall’altra, un parallelo del tutto sconveniente ed incongruo, giacchè l’intelletto agente tomistico nulla ha a che vedere con la concezione barzaghiana, idealistica, del «pensiero puro». Inoltre Barzaghi dice che «l’intelletto agente intende l’essere». «La luce che caratterizza per metafora l’intelletto agente è lo stesso essere».
L’intelletto agente tomistico non è affatto il «pensiero puro» del quale parla Barzaghi, perché allora dovrebbe identificarsi col pensiero divino. E neppure si può dire che intende l’essere. L‘intelletto agente non intende niente. È lo intelletto possibile che intende l’essere e, intendendolo, ne forma il concetto. L’intelletto agente fa intendere. È luce non perchè sia l’essere, ma perchè fa luce: illumina i fantasmi affinchè l’intelletto possibile ne ricavi la loro intellegibilità astraendo dai dati del senso.
Occorre chiamare a raccolta tutte le grandi voci della filosofia moderna, quasi a formare un’immersa orchestra. Occorre però affidare l’accordo delle musiche e degli strumenti, nonchè la guida dell’esecuzione musicale a colui che Pio XI chiamò Dottore comune della Chiesa, titolo ripetuto da Papa Francesco l’anno scorso, VIII centenario della sua morte: San Tommaso d’Aquino.

 
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