04 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Seconda Parte (2/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Seconda Parte (2/4)

 

Pensare e concepire

Distinzione interessante in Barzaghi, che si trova già in Kant, ed è facilmente desumibile dalla gnoseologia di San Tommaso, è quella fra il pensare (cogitare) e il conoscere (intelligere, scire, cognoscere). Il primo è aconcettuale e preconcettuale; il secondo è concettuale. Nel primo ho davanti a me o alla mia coscienza l’Assoluto o il Tutto. Afferro, intuisco, sperimento o colgo o vedo il Tutto nella mia autocoscienza.

Il primo, per lui, sarebbe un’autocoscienza originaria ed assoluta, che ricorda molto il cogito cartesiano o l’Io di Fichte. Nel secondo conosco le cose nel dettaglio, intendo (intelligo), capisco (capio), concepisco (concipere), comprendo (comprehendo) le cose. E formo anche i concetti teologici. Dice:

«Il pensiero è l’originario e la totalità. Nel pensiero puro la conoscenza, che concettualizza, è smarrita, ma nello stesso tempo è perfettamente accolta come nel suo ambiente vitale, perchè il pensiero è la trasparenza dell’essere pre-concettuale e condizione di ogni concettualità. … Il pensiero atematico o pre-concettuale dell’essere è la condizione di possibilità del conoscere e della realtà». 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-pensare-umano-e-il-pensare-divino_3.html 

Notiamo che l’umiltà è certo una forma di autoabbassamento, ma non fino al punto da negare la propria esistenza creaturale, come fa Eckhart, che giudica la creatura «un puro nulla» (Denz.976). 

La vera umiltà contempera la coscienza della propria dipendenza da Dio e del proprio provenire dal nulla con la coscienza della propria dignità ontologica, preziosa gli occhi di Dio, che l’ha voluta e creata. 

Un’umiltà intesa come negazione del proprio essere finito e creaturale, e come affermazione del proprio essere assoluto, perché l’essere, nella linea di Parmenide, è solo quello infinito, si muta necessariamente in superbia. 

È evidente che Eckhart, nonostante conoscesse San Tommaso, non riuscì mai ad assumere la concezione tomista e biblica dell’analogia dell’essere, per cui si sforzò, credendo di avere in mano un concetto migliore dell’essere, di esprimere la sua teologia con un linguaggio parmenideo, ma nell’intento e nella convinzione sinceri di essere ortodosso.

Da questo parmenidismo nasce il fatto che per Eckhart, Dio, quando crea, non dà alla creatura un essere finito, inferiore e partecipato, ma le dà il suo proprio essere, dato che l’essere e l’Assoluto coincidono, sicchè la creatura viene ad avere un essere divino e così si cade nel panteismo. Ciò comporta una concezione dell’essere per la quale non c’è via di mezzo fra il Tutto e il nulla. L’essere non può non essere. Il finito non esiste. 

Se dunque la creatura ha l’essere, questo non può che essere l’essere divino, che per Eckhart è semplicemente l’essere. Eckhart ignora o non ha capito la dottrina tomista dell’analogia dell’essere, che gli avrebbe permesso di conciliare il nulla della creatura col suo essere qualcosa fuori di Dio.

Immagine da Internet: Parmenide

03 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Prima Parte (1/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Prima Parte (1/4)

 

I miei pensieri non sono i vostri pensieri

Is 55,8

 

Che cosa è il pensiero?

Il pensiero in generale non è altro che la rappresentazione mentale o intellettuale dell’essere. Questa rappresentazione è idea, se è pensiero produttore dell’essere o modello mentale dell’essere; è concetto, se è rappresentazione del reale, ricavata dal reale. Nel primo caso abbiamo il pensare divino e, per partecipazione o per imitazione, il pensare umano. Nel secondo caso abbiamo solo il pensare umano.

Cosa delicata è il rapporto del pensiero con l’essere. L’essere è certo oggetto del pensiero e il pensiero suppone l’essere come ente che pensa. Nell’atto del pensare avviene un’identificazione intenzionale e immateriale del pensiero con l’essere. «L’intelletto in atto – dice Aristotele – è l’inteso in atto». Quando siamo nella verità, ciò che pensiamo è ciò che è. Soltanto nel pensiero divino, tuttavia, essere e pensiero sussistenti, si dà un’identità reale fra pensiero ed essere.

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La necessità del concetto è data dal fatto che la mente contatta il reale col pensiero e la mente ha l’esigenza che il reale sia conforme al modo d’essere spirituale del pensiero, mentre il pensiero sente l’esigenza di rispecchiare la verità della realtà e quindi di essere informato da essa. 

Il concetto è appunto prodotto dal pensiero finalizzato alla presenza rappresentativa intenzionale del reale nel soggetto conoscente o pensante. In Dio il Concetto cioè il Logos, è l’idea creatrice del mondo. In noi il concetto è necessario se l’oggetto deve esser reso intellegibile mediante l’attività astrattiva dell’intelletto. Se invece l’oggetto è per sé intellegibile, come i dati di coscienza, allora l’intelletto intuisce immediatamente l’oggetto.

Quanto alla questione della realtà esterna, che ci siano cose fuori di me non può essere oggetto di dimostrazione, come credeva Cartesio, perché l’appello ad esse è il principio di ogni dimostrazione, anche se è vero che, partendo da quella evidenza, esiste un dimostrare che si pone sul piano del rapporto con oggetti interiori e spirituali. Il pensiero e il pensato possono essere oggetto del pensiero Ma anche questo dimostrare suppone il dimostrare empirico e sperimentale.

La certezza intellettuale certo è più forte di quella sensibile. Ma non ne è affatto la garanzia, come credeva Cartesio. La certezza sensibile ha già valore per conto suo e se non ci fosse questa, non potrebbe esistere neppure la certezza intellettuale.

Immagine da Internet:  Statue di Socrate e Platone davanti all'Accademia di Atene, scolpite da Leonidas Drosis, XIX secolo