04 febbraio, 2022

Sul concetto rahneriano di Dio - Terza Parte (3/5)

  Sul concetto rahneriano di Dio

Terza Parte (3/5)

Il fondamento della teologia rahneriana

Il quadro di fondo di pensiero nel quale Rahner si colloca e dal quale parte è chiaramente l’autocoscienza o soggettività cartesiana mediata da Hegel. Tale soggettività è espressa da Cartesio in prima persona: io sono, ossia ho coscienza di essere pensante. Cartesio aveva un’intenzione sostanziante realista: col suo sum pensava di aver raggiunto saldamente l’essere.  

Senonchè però il suo metodo si mostra già inquinato dall’idealismo: Cartesio non vuol partire dall’esperienza delle cose, come fa il vero realista, ma dall’idea, ossia dall’autocoscienza, come se l’idea e non l’ente, fosse il primo oggetto dell’intelletto. Succede allora che il cogito può essere interpretato in due sensi, uno realista: se penso vuol dire che esisto, e un altro di tipo idealista: penso-sono.

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Invece nell’idealismo l’essere è identificato con la coscienza di sé sin dall’inizio dell’atto del pensare, cosa che in realtà è propria solo nella mente assolutamente semplice di Dio.

Eppure questa è la concezione rahneriana del pensare umano, che pertanto si rivela di stampo panteistico.

 



Invece bisogna dire che in noi la coscienza di sé viene dopo la conoscenza dell’essere extramentale, perché l’essere per noi non è di per sé pensato da noi, ma solo pensabile. 

Dobbiamo pertanto renderlo pensato mediante l’atto conoscitivo.

Solo a questo punto otteniamo l’autocoscienza, la quale solo in Dio, ideatore e progettatore delle cose l’atto con cui Dio pensa Se stesso pensante le cose, è la condizione di possibilità della conoscenza dell’ente esterno alla coscienza divina (opus ad extra).  In noi invece è l’inverso: è la conoscenza delle cose ad essere la condizione di possibilità del costituirsi della nostra autocoscienza.

Immagini da internet: Auguste Rodin: Uomo che pensa e La mano di Dio


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