27 maggio, 2021

Severino e Barzaghi sulla questione dell’essere di Dio - Seconda Parte (2/3)

  Severino e Barzaghi sulla questione dell’essere di Dio

Seconda Parte (2/3)

La questione della prassi

Inoltre, l’essere parmenideo, assunto da Severino e da Barzaghi, è un essere che, identificandosi col pensiero, è un essere semplicemente pensato, non è un essere pratico ma semplicemente speculativo, è un essere astratto, che si limita alla causa formale e lascia fuori la categoria del divenire, della causa efficiente motrice e finale, dell’agire e quindi del volere, che fondano la concretezza e la singolarità dell’esistente.

Molto significativo, al riguardo, è il titolo stesso di un libro che Barzaghi dedica al tema della sofferenza: Lo sguardo della sofferenza[1]: il soffrire non è visto come un problema pratico ma speculativo; non si tratta di patire o di agire, ma di guardare. Non si tratta di vincere la sofferenza o di liberarsi dalla sofferenza, ma, senza escludere ovviamente la lotta contro la sofferenza, si tratta in fin dei conti di convivere in eterno con la sofferenza, perché essa è eterna e Dio stesso è beato nella sofferenza. Ecco tutta la piagnucolosa cristologia del Dio che «soffre». La sofferenza c’è anche in paradiso. 

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/severino-e-barzaghi-sulla-questione_27.html 


Barzaghi, con la palla al piede dell’eternalismo severiniano, non riesce ad emanciparsi da Severino e resta all’interno del suo parmenidismo, finendo col sostenere l’eternità del male di pena e di colpa, pur nella beatitudine della gloria celeste. 

Barzaghi fa leva su di un passo dell’Apocalisse, sul quale è tornato molte volte, benché sia un passo, che, per avallare il suo ottimismo tragico, traduce in maniera sbagliata. 

Si tratta di Ap 13,8. Il testo correttamente tradotto è il seguente: «adorarono la bestia tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato» (kai proskynusin autòn pantes oi katoikuntes epì ghes, u u ghègraptai to ònoma autù en to bibìo tes zoes tu agnìu tu esfragmènu apò katabolès kosmu).


Invece Barzaghi traduce con «Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo»

Ora, invece, non è l’Agnello ad essere immolato sin dalla fondazione del mondo, ma è il nome dell’Agnello immolato che è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo.

Non è, dunque, che l’Agnello sia immolato ab aeterno, come dice Barzaghi

Nel libro della vita si parla sì dell’Agnello immolato, ma è sottinteso il riferimento al fatto storico dell’immolazione dell’Agnello, ossia al fatto della crocifissione di Gesù avvenuta 2000 anni fa. 

È quindi falso che il passo biblico voglia affermare che «Cristo è immolato, cioè crocifisso sin dalla fondazione, cioè della creazione del mondo». È falso che «la Rivelazione ci dice che Gesù è immolato gloriosamente nello stesso atto creatore»

Cf.:  Apocalisse 13,8: https://www.vatican.va/archive/bible/index_it.htm

L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato.

Immagini da internet:
 
 L’Agnello cristico in piedi sul monte Sion, IV secolo, catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino, Roma
 L'Agnello dell'Apocalisse, miniatura dell'870 circa, Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothe

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