Il parere
del teologo e il giudizio del Magistero
nelle questioni
dottrinali
Communiter veritatem quaerere
Un
faticoso ma fruttuoso cammino assieme
Il buon rapporto dei teologi col Magistero e soprattutto col Sommo
Pontefice è una delle più alte ed utili attività che caratterizzano la Chiesa
cattolica, affinchè i fedeli «camminino nella
verità» (cf 3 Gv 3) e sappiano quali e quante sono le verità di fede e sappiano
difendersi dagli errori contrari, così come un organismo vivente ha bisogno di tutti gli organi vitali per poter vivere.
Un Card.Kasper, che dice che non sappiamo quante sono le verità di fede, è come
quel medico che dicesse di non sapere quanti sono gli organi vitali del corpo umano.
Questo certo non vuol dire che lo sappiamo con la stessa precisione
con la quale sappiamo quanti sono i nostri denti, ma solo nel senso che
esistono credenze, circa le quali non è tuttora chiaro se sono o non sono di
fede. E per questo si discute fra teologi, perché si potrebbe, in linea di
principio, giungere ad una duplice conclusione: o che non sono di fede; e
allora possono essere abbandonate, come è successo per la credenza nel limbo.
Oppure che possono essere elevate a dogma, come alcuni auspicherebbero per la dottrina
della corredenzione di Maria.
Senonchè, però, a causa dell’umana fragilità e
anche a volte della malizia, questo rapporto nei secoli tra teologi e Magistero
non è sempre stato facile, e si è avuta anche la rottura con grave danno dei
fedeli scandalizzati, confusi, divisi, sviati e indotti nell’errore e nel peccato.
A volte l’autorità è restata sorda agli appelli dei teologi. A
volte sono stati loro a prendere l’iniziativa senza il permesso dell’autorità. I
teologi faticano a sottomettersi. L’autorità tende ad imporsi. Oppure si dà anche
il caso di una teologia ripetitiva o per pigrizia o perchè troppo bisognosa di
sicurezza o paurosa della ricerca e del progresso. E d’altra parte si può dare
un’autorità troppo permissiva, che si lascia prendere la mano dai teologi
sovversivi.
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