28 novembre, 2023

Ateismo e salvezza - Quarta Parte (4/10)

 

Ateismo e salvezza

Quarta Parte (4/10)

Concetti di Dio imperfetti ma sufficienti

Brahmanesimo

La più antica nozione di Dio e di alta qualità la troviamo nella letteratura vedica a partire dal sec. XIV avanti Cristo, scritta da autori ignoti che asseriscono di trasmettere una tradizione sacra (smrti) ricevuta per rivelazione (sruti).

Questa nozione espressa dalla parola Brahman, ha un duplice orientamento semantico: da una parte induce al teismo e dall’altra suggerisce il panteismo. Quindi nel primo senso si tratta di un concetto salvifico, perché l‘io (jivan) o anima (atman) è distinto da Brahman. Abbiamo allora la visione «duale» (dvaìta) sostenuta da Ramanuja nel sec. XIII, di tendenza realistica favorevole alla Trascendenza.

Viceversa, se l’io o l’anima sono visti come apparenza sensibile e fenomenica di Brahman come Io vero, profondo e assoluto (vedi l’Io trascendentale degli idealisti), abbiamo la visione «non-duale» (advaìta), che potremmo chiamare monistica, della quale abbiamo un parallelo in Occidente in Parmenide.  Questa è l’impostazione di Shamkara nel sec. VIII-IX. 

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Il difetto del Dio islamico dipende dal fatto che esso non è basato su di una nozione analogica dell’essere, quindi del vero, della ragione, del bene e della volontà, ma su di una nozione univoca, che per salvare la pluralità, ammette l’equivocità e la contraddizione. Inoltre l’unità divina è intesa così monisticamente, da escludere la Trinità, perché questa, sempre a causa dell’univocismo e della negazione dell’analogia, appare come negazione dell’unità.

Se qui dunque c’è la pretesa di salvare il principio di non-contraddizione, il musulmano non si fà scrupolo di violarlo quando concepisce un Dio benevolo e violento, sincero e bugiardo, crudele e misericordioso.

In tal modo, col pretesto che Dio è il nostro Signore e Legislatore, che decide di ciò che è bene e ciò che male, che può fare e ha diritto di fare tutto quello che vuole, senza spiegarcene i motivi e senza dover render conto a noi, è un Dio che ha diritto di imporci la sua volontà, sicchè noi non possiamo conoscere il perché dei voleri divini. Per cui il musulmano confonde l’incomprensibilità e il mistero dei decreti divini con l’idea che Dio possa comandare o render lecito il peccato e proibire o punire la giustizia.

È evidente allora che il musulmano, partendo dal concetto di un Dio dispotico ed arbitrario, che esercita la violenza ed un potere irrazionale, si sente autorizzato a sua volta da una parte a concedersi anche cose illecite e a comportarsi con gli altri con la stessa licenza, violenza e crudeltà con le quali suppone che Dio si comporti con lui.

Se il concetto di Dio è assunto dall’islamico nei termini descritti dal Concilio, rinunciando all’aspetto difettoso denunciato da Benedetto XVI, il concetto può essere salvifico. Lascia sottintendere l’assunzione di tale concetto l’accordo di Abu-Dhabi stipulato da Papa Francesco col Grande Imam del Cairo Ahmad Al-Tayyeb.

Immagini da Internet

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