Sulle prove dell’esistenza di Dio
Che significa provare che Dio esiste?
Quando si parla di «prove dell’esistenza di Dio», si possono intendere due cose: o il provare a qualcuno che Dio esiste o l’esperienza di alcune cose, per le quali ognuno di noi giunge a sapere che Dio esiste. S.Tommaso nella SummaTheologiae fa un discorso del primo tipo: partendo dal presupposto che sappiamo già che cosa significhi la parola «Dio», ma che non sappiamo se esiste o non esiste, ci vuol fornire le prove della sua esistenza, ci vuol convincere mediante prove irrefutabili che Dio esiste.
E lo fa con le famose cinque vie, supponendo un concetto realistico del conoscere, mostrando che tutti noi, partendo dall’esperienza del divenire del mondo, delle cose e del proprio io ed applicando il principio di ragion d’essere, di causalità e di partecipazione, non possiamo non ammettere un primo motore immobile, una prima causa efficiente, un ente assolutamente necessario, un ente sommo, un fine ultimo, Ente assoluto e plurivalente, che «tutti – dice l’Aquinate - chiamano “Dio”».
Un’analisi ulteriore di questo Ente porterà poi Tommaso, come è noto, a concludere che in questo Ente l’essenza coincide col suo essere: Deus est suum esse, sicchè Dio è l’ipsum Esse per se subsistens.
Esiste anche una prova psicologica dell’esistenza di Dio. È quella di S.Agostino: la mente scopre nel suo intimo la verità, ma sperimenta nel contempo la sua mutabilità. E dunque questa verità immutabile, che è in lei deve venire da più in alto, da un punto insuperabile: «Et si te mutabilem inveneris, transcende te ipsum, et illuc ergo tende ubi ipsum lumen rations accenditur»
Esiste anche una prova morale. È quella di Kant: la coscienza del dovere come obbligo assoluto. Il mio dovere, la legge morale è un imperativo categorico, al quale non posso sottrarmi, senza mancare alla mia dignità. Da dove viene questa legge? Non può che venire da un sommo Legislatore saggio e buono, amante dell’uomo. E costui è Dio.
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(Immagine da internet)
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