29 dicembre, 2022

Che cosa è il realismo - Terza Parte (3/4)

 Che cosa è il realismo

Terza Parte (3/4) 

I prodromi dell’idealismo: Scoto, Ockham e Suarez

La più antica testimonianza dell’idealismo in Occidente, a parte il più antico, l’idealismo indiano, che qui non prendiamo in considerazione, è quella di Parmenide nel sec.VI a.C.. col suo famoso principio: to autò to noein kai to einai, il pensiero e l’essere sono la stessa cosa. Esso è connesso con l’altro: l’essere è, il non-essere non è.

Si tratta di due princìpi basilari che possono avere un senso valido: il primo può voler dire che la verità è data dalla corrispondenza del pensare con l’essere: quando io sono nel vero, ciò che intendo è quello stesso che esiste. Diversamente, sarei nell’errore. Il secondo è il principio di identità: l’essere non può essere e non-essere ad un tempo e sotto il medesimo aspetto. 

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La decadenza della metafisica comporta che il pensare, inteso come semplice produrre idee o formare concetti, tende a separarsi dal reale e a chiudersi in se stesso. Il concettualizzare viene preferito all’intuire il reale. Si preferisce un concetto più perfetto, cioè univoco, a uno più perspicuo, benché imperfetto, qual è quello analogico.

In metafisica ciò che conta è cogliere concettualmente l’ente, non importa se questo concetto è impreciso, confuso, indeterminato, non del tutto uno, complicato. Esso è comunque certo e verace. Di più non possiamo ottenere e perciò ci deve bastare e dobbiamo accontentarcene. Voler semplificare, precisare o unificare non ci avvicina meglio all’ente, ma ce lo fa vedere peggio, sicchè invece di vedere l’ente, vediamo il nostro misero concetto dell’ente. È come quando tentiamo ci accendere i fari dell’auto nella nebbia, nella speranza di vederci meglio, e invece ci vediamo peggio.

Dobbiamo accettare questa imperfezione del concetto. Altrimenti succede che invece di cogliere il reale, ossia l’ente o la cosa così com’è, lo ospitiamo nella nostra mente sì in un bell’alloggio, ma troppo stretto per le sue dimensioni infinite.

 

Invece il concetto analogo, mentre da una parte ha una certa unità e coerenza sufficiente ad evitare l’equivoco, grazie alla sua sconfinata potenziale diversificazione e pluriformità interna, è capace di raggiungere, ospitare e rappresentare veracemente benché imperfettamente tutto ed ogni cosa, reale o possibile, sia Dio che la creatura.

Mancando questo concetto, che può succedere? Che non si riesce più a concepire l’ente in quanto ente, nella sua unità proporzionale ed diversificata, ma lo si scambia con l’ente comune.

Si tratta qui di carenze o errori gnoseologici o metafisici, che non suppongono nessuna superbia, ma che anzi riscontriamo in menti elette, anche di santa vita, a significare che l’idealismo è fatto anche di errori o equivoci teoretici involontari e comprensibili in un campo di indagine, qual è l’attività dell’intelletto, che è di assai difficile comprensione.

Immagini da Internet

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